Il discorso sulla Kinesiologia lo abbiamo affrontato da diverse prospettive già in diversi articoli precedenti, analizzando questo vasto settore del benessere olistico nei suoi punti di forza, limiti e differenze rispetto ad altre discipline più o meno affini. Con questo nuovo articolo intendiamo richiamare l’attenzione sul problema centrale della Kinesiologia – con la Kappa – intesa come professione. Come vedremo, tale criticità coinvolge ogni orientamento metodologico della Kinesiologia.
Ormai sappiamo che ogni orientamento specialistico della kinesiologia deve la sua esistenza alla madre di tutte le “kinesiologie”, la Kinesiologia Applicata fondata dal chiropratico americano George Goodheart. Ma fu John Thie, chiropratico collaboratore di Goodheart, a diffondere la kinesiologia in modo capillare attraverso la divulgazione del metodo Touch for Health; è merito di John Thie se la kinesiologia e i suoi test muscolari hanno raggiunto un gran numero di persone ed ha potuto svilupparsi come settore indipendente, favorendo la nascita di tanti rami specialistici che nel loro insieme hanno costituito l’ampio campo di studio della Kinesiologia – con la Kappa – e che oggi possiamo definire come Arti Kinesiologiche Applicate.
L’idea di John Thie era rendere la kinesiologia accessibile alle persone comuni, in particolare il metodo del test muscolare kinesiologico sviluppato in Kinesiologia Applicata, sotto forma di metodologia semplificata di riequilibrio energetico e come approccio naturale di autoaiuto ad uso familiare per mantenere lo stato di salute e benessere ottimali.
I puristi della Kinesiologia Applicata spesso sono molto critici verso le altre diverse forme di kinesiologia come il Touch for Health e le metodologie di indirizzo puramente umanistico/olistico. Solitamente si tratta di chiropratici, osteopati o medici che hanno seguito la formazione internazionale IKAK o di altre organizzazioni di orientamento medicale. Chiariamoci, non vogliamo generalizzare, segnaliamo soltanto che ci sono atteggiamenti critici da parte di alcuni professionisti che potremmo definire conservatori e, valutando la realtà fattuale del contesto eterogeneo della kinesiologia, tale criticismo dovrebbero riversarlo nei confronti di quei chiropratici che come John Thie hanno aperto la strada allo sviluppo di altre “kinesiolgie” e contribuito alla diffusione del test muscolare kinesiologico, al di fuori delle accademie ufficiali di aspirazione sanitaria. Fra l’altro su alcuni documenti storici si trova scritto che George Goodheart, nonostante fosse restio verso le idee di John Thie, fu comunque d’accordo con lui e diede il permesso di diffondere il suo metodo TFH: forse perché, in fondo, lo stesso Goodheart intuiva l’ecletticità dalla Kinesiologia e l’enorme potenziale d’applicazione del test muscolare kinesiologico? Non lo sapremo mai con certezza, ma è evidente come tale metodologia si presti ad ampie applicazioni non solo di tipo diagnostico sanitario, come intendono i puristi della Kinesiologia Applicata, ma anche di carattere umanistico. Lo dimostrano le tante metodologie derivate dalla Kinesiologia Applicata basate sui suoi test muscolari e che hanno come finalità l’armonizzazione dell’individuo, l’ampliamento della consapevolezza corporea e il potenziamento delle naturali risorse psicofisiche in termini esistenziali e non terapeutici. Pensiamo a metodi come Psich-k®, Brain Gym® o Three in one concept® che hanno aperto la strada a veri e propri orientamenti della kinesiologia come Kinesiologia Educativa, Kinesiologia Evolutiva, Kinesiologia Emozionale, Kinesiologia Transazionale; oppure orientamenti più recenti come la Kinesiologia Olistica Applicata che mette consapevolmente al centro della sua visione il corpo inteso come Corpo Vivente, Vitale e Vissuto. Aspetto implicito e talvolta inconsapevole negli altri orientamenti olistici ma che, di fatto, resta il nucleo centrale di una visione umanistica applicata alle tecniche kinesiologiche di riequilibrazione corporea: il tratto distintivo delle “kinesiologie” di indirizzo olistico che si focalizzano sulla soggettività vissuta incarnata, impressa ed espressa dal corpo. E ciò rappresenta l’elemento distintivo del modo di vivere dell’essere umano: l’espressività, che tradotta concretamente costituisce la totalità della relazione con il proprio Mondo attraverso l’Azione, data dall’espressività umana mediata dai muscoli.
Il problema della kinesiologia come professione
Sempre insegnata e usata come appendice di altre professioni! Questo è il problema fondamentale della kinesiologia: divisa fra metodologie e tecniche, diffuse separatamente senza rendere giustizia unitaria alla loro esistenza. Non vengono considerati i fattori comuni e generalistici che costituirebbero la spina dorsale di una potenziale disciplina completa nei suoi specifici filosofici, teorici e tecnici: le Arti (o scienze?) Kinesiologiche Applicate; proponendo i vari rami specialistici come tecniche a se stanti ad uso e consumo di ogni altra professione affine senza mai valorizzare l’identità del Kinesiologo come professionista. Certo, perché di fatto non può esserlo finché ogni orientamento metodologico rimarrà separato dagli altri senza unirsi in un percorso formativo generale comune.
Già la Kinesiologia Applicata, fin dalle sue origini, è stata considerata come appendice ausiliaria per altre professioni, in particolare quella chiropratica. Infatti, non si parla mai di “kinesiologi applicati” in senso stretto ma sempre di Chiropratici specializzati in Kinesiologia Applicata. Tale scenario è perfettamente comprensibile se contestualizziamo la questione soltanto entro il panorama della chiropratica, ma prende una diversa connotazione quando si considera il vasto albero delle “kinesiologie” che, volente o nolente, hanno preso strade autonome rispetto alla Kinesiologia Applicata, intesa come metodo diagnostico e terapeutico accessibile solo ai chiropratici e/o professionisti sanitari in genere.
Perciò, considerando i fatti, oggi la Kinesiologia Applicata costituisce solo una piccola parte del vasto orizzonte che ha potuto svilupparsi grazie alle intuizioni del Dr. Goodheart e all’intraprendenza di John Thie. Per quanto possa essere cospicuo il numero di chiropratici e operatori sanitari che fanno uso della Kinesiologia Applicata, a conti fatti resta sempre una nicchia ristretta rispetto al più cospicuo numero dei kinesiologi del settore olistico, di cui tanti sono professionisti competenti seri e per questo motivo andrebbero considerati come kinesiologi – se non colleghi – di tutto rispetto. L’atteggiamento rigido e conservatore di certi professionisti della Kinesiologia Applicata, oltre ad essere inappropriato davanti alla realtà capillare del settore olistico delle “kinesiologie”, è un forte ostacolo allo sviluppo interdisciplinare della materia e denota una visione miope dell’intero settore kinesiologico con la kappa.
Facciamo un parallelismo per chiarire la questione: prendiamo come esempio il settore delle scienze psicologiche. Esiste una certa reciprocità di contenuti formativi in questo ambito, soprattutto nella formazione di base: è normale che nel triennio di formazione in scienze psicologiche si studino i fondamenti della psichiatria. Allora, nel nostro caso: perché dovrebbe essere un problema l’insegnamento dei fondamenti generali della Kinesiologia Applicata e della Chiropratica, nei percorsi di formazione ad indirizzo olistico? Esse sono parimenti alla psichiatria le materie sanitarie fondanti delle discipline Kinesiologiche di natura olistico-umanistica!
Bisogna fare i conti con la realtà: il settore olistico della kinesiologia esiste e si sta strutturando sempre di più. Per questo va considerato e valorizzato allo stesso modo del settore “sanitario” della Kinesiologia Applicata, rispettando ovviamente gli ambiti di competenza e magari creando presupposti formativi comuni. Oltre tutto, faccio notare come lo stesso filone esclusivo della Kinesiologia Applicata, che si auto proclama sanitario, non è affatto accettato pienamente dagli ambiti sanitari ortodossi della comunità scientifica, soprattutto in Italia. Ecco che, la Kinesiologia Applicata, restando separata dalle sue “figlie”, talvolta ripudiandole, resta una piccola nicchia incompresa di professionisti sanitari che, invece di chiudersi nelle loro torri d’avorio, potrebbero contribuire significativamente allo sviluppo della materia. Offrendo disponibilità nell’unire le forze con le altre “kinesiologie” nella realizzazione di percorsi di formazione di autentico valore accademico! Ma il problema, purtroppo, è più complicato e allarmante perché prende in causa, molto più degli esponenti sanitari della Kinesiologia Applicata, i docenti e i professionisti del settore olistico che, “forse”, costituiscono il reale ostacolo da superare con i loro atteggiamenti personalistici: troppi si sono fatti guru dei loro rami kinesiologici barricandosi nelle loro scuole, nella totale indifferenza verso gli altri orientamenti kinesiologici. Totalmente disinteressati allo sviluppo unitario e scientifico della materia nel suo insieme. Con questi presupposti è pienamente comprensibile l’atteggiamento critico di certi professionisti della Kinesiologia Applicata: probabilmente hanno regione a prendere le distanze da un mondo della Kinesiologia che si pone più come un insieme di “religioni” diverse in competizione fra loro, che come orientamenti filosofici ed empirici di aspirazioni scientifica.
Per di più, i guru della kinesiologia fanno uso di linguaggi inappropriati, prova dell’assoluta assenza di ragionamento epistemologico dove il linguaggio è di primaria importanza, se si vuole davvero strutturare una disciplina di spessore intellettuale ed empirico. Il linguaggio scelto da certi guru della kinesiologia, troppo spesso, tende alla ricerca del sensazionalismo esoterico, ed è evidente che lo scopo perseguito non è quello di offrire contenuti kinesiologici di spessore culturale atti a persuadere positivamente l’opinione pubblica o potenziali allievi, ma bensì dei contenitori concettuali vuoti e privi di spessore culturale al fine di reclutare, non allievi, ma adepti o seguaci. In tal modo la kinesiologia viene mutilata e privata dei suoi contenuti di interesse scientifico al solo fine di dispensare l’insegnamento di tecniche prive di identità professionale, favorendo la percezione comune che la kinesiologia sia un’appendice ad uso e consumo di altre professioni. Non è un problema da poco!
Cosa significa essere Kinesiologi Professionisti
Essere Kinesiologi professionisti è tutta un’altra questione. Non si tratta di usare il test muscolare in modo utilitaristico o ausiliario, oppure un protocollo tecnico a supporto di qualche altra disciplina. Ma si tratta di adottare la piena visione analitica e operativa kinesiologica – a mio avviso comune a tutte le “kinesiologie”: un modo di pensare e osservare il corpo che va oltre alla mera applicazione tecnica o visione riduzionistica meccanicista.
Un medico adotterà sovente con più facilità il modello d’osservazione medico, tendenzialmente riduzionista, così come il chiropratico o altri professionisti di orientamento sanitario; ma attenzione, anche gli operatori del settore olistico tendono al riduzionismo tecnico nella pratica della kinesiologia. Tale scenario è il prodotto di anni passati a insegnare la kinesiologia come tecnica d’appendice e non come professione indipendente, condizionando non tanto le persone comuni ma gli stessi addetti ai lavori, prima di tutti gli insegnanti, a pensare la kinesiologia come insieme frammentato di tecniche da offrire, perdonatemi, a “cani e porci purché paghino”. Qui si manifesta l’ombra dell’intraprendenza di John Thie, che come effetto collaterale ha portato i kinesiologi che hanno seguito il suo esempio ad eccedere nel lavoro divulgativo a discapito della creazione di un sano equilibrio accademico. Evitando, per non dire ostacolando, lo sviluppo di una facoltà accademica di Arti Kinesiologiche Applicate, strutturata in un percorso formativo generalistico integrato in tutti gli aspetti fondamentali della kinesiologia, comuni ad ogni ramo kinesiologico specialistico; dedicato alla formazione completa per tutte le persone interessate ad acquisire competenze, generali di base e professionali, di Kinesiologo.
La Kinesiologia è una disciplina complessa che spesso può apparire addirittura complicata nella sua prassi, per questo motivo sono davvero pochi i professionisti capaci di applicarla a regola d’arte. Essa richiede, oltre alla visione kinesiologica, una visione sistemica del corpo umano integrata all’ampia prospettiva olistica: la capacità di applicare il pensiero laterale sia nell’analisi che nella prassi, in cui si agisce con la piena consapevolezza dei fattori strutturale, biochimico, psicoemotivo ed energetico. Ciò richiede predisposizione, allenamento e pratica. Ma l’approccio riduzionista ci condiziona da così tanto tempo da rendere molto difficile l’apprendimento e l’applicazione del pensiero laterale, è quindi naturale imbattersi in soggetti, medici o non medici, che applicano le tecniche kinesiologiche in modo riduttivo e meccanico. Quindi non c’è da stupirsi se molti professionisti praticanti la kinesiologia cadano nel tecnicismo, riducendo la materia ad un agglomerato di tecniche scollegate fra loro. Ma, se si entra nella filosofia di fondo dell’Arte Kinesiologica ci si accorge di quanto sia molto di più di uno scarno impianto tecnico da usare secondo il bisogno del momento.
Certamente il punto di forza della Kinesiologia è la sua eccletticità. Ciò la rende applicabile in tanti ambiti e utile come supporto di altre discipline affini. Ma questa caratteristica deriva da un paradigma concettuale che attende di essere ancor più definito nei suoi specifici fondamentali: di linguaggio, premesse metodologiche ed epistemologiche. Aspetti importanti da definire e da strutturare come fondamenta della materia, allo scopo di formare una disciplina completa basata su solide premesse generali concettuali ed empiriche, condizioni necessarie affinché la Kinesiologia possa identificarsi come professione e disciplina d’interesse scientifico.
Pertanto, l’idea di John Thie è stata certamente valida e geniale fino alla fine degli anni ’80. Ma da quel momento in poi si sarebbero dovuti bilanciare gli sforzi per lavorare anche sulla realizzazione di un percorso accademico in Kinesiologia, unificato in tutti gli aspetti generalistici. Strutturando la formazione sui contenuti che accumunano tutti i rami olistici/umanistici delle varie “kinesiologie”, e integrando in modo interdisciplinare gli aspetti teorico-pratici di base di ogni orientamento metodologico. Perciò, allo stato attuale delle cose, tale prospettiva va presa in carico oggi. Perché tanti di quei profani che hanno avuto accesso alla kinesiologia grazie alla filosofia promossa da John Thie sono diventati professionisti Kinesiologi esperti, che nutrono il bisogno di andare oltre all’approccio famigliare dell’auto-aiuto. Senza togliere valore a quest’ultimo, anzi valorizzandolo ulteriormente come uno dei fondamenti della Kinesiologia come professione, di cui fra i suoi numerosi scopi vi è quello di offrire strumenti utili per salvaguardare il proprio benessere autonomamente. Ma la professione non può limitarsi a questo, lo dimostrano i numerosi kinesiologi professionisti che quotidianamente applicano la Kinesiologia – qualunque sia il loro ramo specialistico – come sostegno al benessere dei loro clienti.
C’è ancora molto da fare.
Purtroppo sono ancora tante le realtà formative e i professionisti che continuano a considerare la Kinesiologia come appendice ausiliaria di discipline sanitarie, non sanitarie o del settore olistico tendenzialmente riduzioniste. Come una certa medicina o alcuni ambiti moderni della chiropratica o dell’osteopatia, contaminate dal riduzionismo scientifico che ha eclissato le loro radici storiche, filosofiche e olistiche. Attenzione, non vi è nulla di male nel riduzionismo esso è fondamentale per acquisire conoscenza: senza questo approccio sarebbe impossibile accedere a certi aspetti della conoscenza umana. Diventa un problema quando il presupposto riduzionista, pretende di essere l’unica strada alla conoscenza e cerca di forzare la natura dei presupposti conoscitivi di ambiti del sapere umano fondati su paradigmi diversi.
La professione del Kinesiologo deve costituirsi indipendentemente dalle questioni metodologiche specialistiche integrandole all’interno di un percorso formativo generale di base; emancipandosi dalle altre professioni in modo che possa diventare una professione autonoma senza continuare ad essere percepita come appendice di altre discipline più o meno riconosciute e/o ufficiali.
Sia chiaro, non c’è nulla di male ad applicare il test kinesiologico come supporto diagnostico in medicina o in altre discipline olistiche affini più o meno ortodosse, anzi questo è sicuramente un ottimo modo per arricchire la ricerca clinica in questo campo. In fondo, la Kinesiologia Applicata nasce proprio come metodo complementare diagnostico da affiancare ai consueti esami e test diagnostici della medicina ortodossa; prestandosi bene anche come ausilio di discipline olistiche diverse. Tuttavia, c’è differenza sostanziale fra l’applicazione una tantum di qualche procedura kinesiologica e l’applicazione completa e totale della weltanschauung kinesiologica – tutt’ora in via di sviluppo e lungi dall’essere definitiva, proprio a causa della contaminazione riduzionistica dei presupposti scientifici, promossi in modo imperativo e unilaterale come fossero l’unico modo per svelare i misteri della vita umana. Perciò, ragionevolmente, le discipline olistiche come le Arti Kinesiologiche Applicate dovranno far tesoro dei loro presupposti scientifici, evitando il fascino luciferino del riduzionismo meccanicista; emancipandosi da questa visione del mondo, talvolta effimera, protendendo verso l’affermazione di quei presupposti olistici, umanistici ed esistenziali che caratterizzano le scienze del mondo della vita vissuta.
Per approfondire:
Articolo di:
Fabio Valenzisi
Bibliografia essenziale:
– D. Gillies – G. Giorello; “La filosofia della scienza” (2005); Ed. Laterza.
– E. Husserl; “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale” (1954); Ed. Il Saggiatore.
– A. Holdway; “Iniziazione alla kinesiologia” (1995); Ed. Mediterranee.
Le informazioni contenute in questo post non sono indicazioni o prescrizioni mediche, hanno il solo scopo di informare. Al fine di agire nel rispetto del proprio corpo e bene farsi seguire da operatori del benessere accreditati e consultare sempre il proprio medico.
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