
La kinesiologia applicata – con la K – è una disciplina complessa che ad oggi, in Italia, fa parte del settore olistico bionaturale. La sua complessità deriva dal fatto di essere una materia estremamente versatile e ricca di possibilità applicative, perciò se trovi difficile capire alcuni concetti non scoraggiarti nell’approfondimento delle sue caratteristiche fondamentali: chi si accosta per la prima volta a questa disciplina, sia per interesse personale o formativo, deve entrare nella visione kinesiologica di fondo per capirne la metodologia. Questa è la chiave per comprendere appieno gli scopi perseguiti attraverso le sue tecniche. È come imparare una nuova lingua: prima famigliarizzi con la musicalità del linguaggio e il suo alfabeto, poi impari le prime parole e frasi, successivamente a pronunciarle e a scriverle, interiorizzi le regole di sintassi e la grammatica, componi frasi sempre più elaborate e infine, una volta imparata, sei in grado di pensare in quella lingua; e cosi comprendi il punto vista racchiuso nel linguaggio: la cultura, le usanze del popolo di appartenenza, ecc… sono questi aspetti a fare la differenza fra il conoscere e il pensare in quella lingua. Questo vale anche per le arti della salute, soprattutto quando si tratta di discipline che vanno oltre alle rappresentazioni scientifiche canoniche del senso comune.
Probabilmente starai pensando: si ok, ma ci vogliono anni per arrivare a questo livello di comprensione! Ed hai perfettamente ragione, ecco perché ti serve questo articolo: fin da subito ti saranno chiari i punti fondamentali della visione kinesiologica; utili sia all’utente medio sia all’aspirante allievo. Il mio tentativo non è quello di descrivere tecnicamente cos’è la kinesiologia applicata, ma piuttosto far luce sulla filosofia di fondo che la regge – o dovrebbe reggerla – con qualche arricchimento innovativo; condizione necessaria affinché si possano risolvere le ambiguità, su cui spesso ci si imbatte nel cercare di inquadrare l’orizzonte affascinante di quest’arte del benessere.
Per alcuni, soprattutto ai non addetti ai lavori, i contenuti che seguono potranno apparire complessi. Tuttavia, suggerisco di leggere fino in fondo ed eventualmente approfondire navigando nelle pagine del sito, in particolare: [come lavoro], [cosa posso fare per te], [sessioni individuali] e [kinesiologia applicata].
Se sei un utente che sta cercando rimedi naturali e desidera saperne di più sulla kinesiologia, le pagine che ti ho appena indicato sono un utile approfondimento. Questo blog è dedicato sia all’utente in cerca di soluzioni per il suo benessere che per i professionisti dell’olistico, sanitari curiosi dalla mente aperta, gli studenti di kinesiologia applicata e di tutte le prospettive metodologiche della kinesiologia in generale. Perciò troverai articoli chiari, adatti a tutti ed altri più tecnici. Quello che stai leggendo adesso è una via di mezzo: i contenuti derivano dalle ricerche [NovaTherapy], si tratta di un articolo sui fondamenti delle scienze kinesiologiche applicate secondo il nostro punto di vista. Buona lettura!
Fatta questa premessa, cominciamo!
Voglio evitare di annoiarti con le spiegazioni sommarie e storiche di cui il web è già pieno, perciò farò solo un breve accenno alle origini: George Goodheart è il fondatore della madre di tutte le “kinesiologie”, la kinesiologia applicata. Attualmente questa disciplina può essere considerata la base generale su cui si radicano tutte le altre prospettive kinesiologiche. Il Dr. Goodheart era un chiropratico: quindi la kinesiologia applicata è figlia di quest’arte terapeutica. Alle origini, attorno all’inizio degli anni ’60, viene per lo più utilizzata come metodo complementare di supporto alla chiropratica; ciò accade ancora oggi, sono molti i chiropratici che la utilizzano come complemento alle tecniche chiropratiche. Tuttavia, grazie alla sua potente versatilità ed al suo ampio campo d’azione è diventata presto una disciplina autonoma generando numerose branche, approcci speciali e prospettive metodologiche. Ecco alcuni esempi rappresentativi delle maggiori aree sviluppatesi in kinesiologia: emozionale, del potenziamento delle risorse personali psicofisiche, alimentare, educativa, odontoiatrica, specializzata, transazionale, umanistica, energetica, posturologica, medica. Come vedi esiste un’ampia varietà di approcci e questo è uno dei fattori che spesso rende difficile capire la kinesiologia: siamo abituati a cercare categorie fisse e univoche per descrivere qualcosa, perciò quando si parla di kinesiologia molti cercano di inquadrarla secondo schemi precostituiti su cui individuare facilmente le caratteristiche salienti della disciplina. Per questo è cosa comune di molti tentare di assimilare la kinesiologia a pratiche conosciute, apparentemente simili, come la fisioterapia ad esempio, oppure più in generale le pratiche mediche fisioterapiche; purtroppo questo non è possibile, per quanto ci siano aspetti in comune o sovrapponibili fra la kinesologia e altre discipline ortodosse più illustri, l’approccio di fondo in kinesiologia resta molto diverso. Semmai, un parallelismo interessante c’è con la psicologia: ricca di sfaccettature e di numerosi approcci variegati che danno origine a tante “psicologie”; in questo caso la kinesiologia, seppur più giovane delle scienze psicologiche, potenzialmente potrebbe seguire uno sviluppo molto simile, la prova di ciò sta nello sviluppo di tante “kinesiologie” con prospettive diverse ma sempre basate sui concetti fondamentali della kinesiologia applicata – che allo stato attuale può essere considerata come kinesiologia applicata generale -. Ma esiste una differenza sostanziale con la psicologia: il corpo e il contatto con esso. Come vedrai è proprio il modo di conoscere, concepire il corpo e la relazione con esso a rendere la kinesiologia – secondo il mio punto di vista – “l’anello mancante di secoli Cartesiani” in cui la dicotomia corpo/mente ha definito lo schieramento delle scienze mettendo la psicologia, che comunque vuole essere scienza, da una parte e le scienze organiciste dall’altra. Secondo la mia visione e la ricerca NovaTherapy, la kinesiologia possiede le caratteristiche giuste per conciliarsi alla psicologia, dandogli la possibilità di conquistare finalmente la dimensione corporea che da secoli le sfugge. E la psicologia, in particolare un certo ambito definito fenomenologico, può arricchire e dare spessore alla kinesiologia. Senza ovviamente snaturale l’identità di entrambe.
Per alcuni può essere spiazzante sapere che la kinesiologia possa occuparsi di così tante aree diversificate, apparentemente distanti fra loro. Questo è il grande potenziale della kinesiologia ed allo stesso tempo il suo tallone d’Achille: ma vediamo perché.
Prima di tutto la K. A. non è una tecnica, ma una disciplina, un’arte del benessere caratterizzata dalla visione olistica dell’individuo, contraddistinta da procedure precise basate sul [test muscolare kinesiologico]. Queste procedure vanno a costituire l’ampia gamma di oltre un migliaio di tecniche classiche che studiano, partendo dalla prospettiva kinesiologica applicata, il corpo umano su tre livelli interconnessi: strutturale, biochimico, psichico. Pilastri distintivi rappresentati dal simbolo della kinesiologia applicata, conosciuto come “triangolo della salute”.
Come puoi intuire da questa prima descrizione la kinesiologia è l’orizzonte di un continente vastissimo le cui prospettive si estendono allo studio dell’essere umano, secondo una particolare visione del corpo, con tantissime correlazioni e connessioni ad altre branche del sapere come le neuroscienze, la psicologia, le scienze mediche in generale e, aspetto non secondario, aprendo molti interrogativi filosofici interessanti; senza dimenticare la relazione con la sua madre e la sua madrina: chiropratica e osteopatia. Tuttavia comprendere la filosofia di fondo che regge l’approccio operativo della kinesiologia non è immediato, questo perché troppo spesso si cerca di spiegare cos’è solo sulla base delle tecniche e affermando, a volte forzatamente, attributi scientifici, in certi casi inappropriati, nel tentavo di darle più credito. Come vedremo il paradigma scientifico con il suo metodo sperimentale può essere utile ad indagare solo alcuni aspetti della kinesiologia applicata, ma non tutto; come accade nelle scienze psicologiche, oltre al metodo sperimentale, è necessario ampliare il campo di azione elaborando altri metodi come il “quasi esperimento” o “il metodo clinico” per esempio, per il fatto che certe ipotesi o metodi non sempre sono adatti ad essere valutati esclusivamente tramite metodo sperimentale. Ma il punto essenziale sta nel fatto che la kinesiologia prima d’essere sottoposta a sperimentazioni deve strutturare le basi filosofiche della sua prospettiva, definendo con chiarezza il suo modo di vedere, conoscere e di aiutare l’essere umano che non deve essere per forza in linea agli imperativi canonici delle scienze dure. Si tratta di un opera intellettuale necessaria per collocare l’ampia gamma di tecniche kinesiologiche, e la kinesiologia stessa, su di una solida base: un pensiero strutturato e coerente che regga e definisca il suo approccio. Basarsi solo sulle tecniche perché funzionano è riduttivo e indebolisce la disciplina, perché in questo modo viene a mancare la “colla” teorica che tiene insieme le tecniche fra loro dandogli senso, spessore e attendibilità. Ed è proprio questa “colla”, costituita da formulazioni filosofiche e teoriche, ha caratterizzare la forza di ogni ambito del sapere sia esso scientifico o aspirante tale.
Le tecniche kinesiologiche stanno alla kinesiologia come gli attrezzi pittorici stanno alla pittura, sono importanti ma da soli possiedono un significato relativo che aspetta di essere inserito all’interno di una particolare visione, dentro un pensiero, un modo chiaro di guardare le cose: un movimento intellettuale per usare un termine proprio dell’arte. In questo modo si rende lo strumento o la tecnica il mezzo per raggiungere il fine perseguito nella prospettiva della corrente di pensiero, contenuta nelle idee fondamentali dettate dal movimento. Troppo spesso in kinesiologia applicata le tecniche vengono insegnate fini a se stesse, perdendo di vista la loro vera natura di mezzo per raggiungere lo scopo: riorganizzare l’equilibrio psicofisico espressivo dell’individuo.
Ma qual’è la prospettiva della kinesiologia applicata? In cosa consiste la sua visione?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo mettere in chiaro alcuni punti essenziali: la kinesiologia non è una scienza, semmai un’arte con contenuti di interesse scientifico – quando parliamo di “scienze kinesiologiche” intendiamo la parola “scienze” nel suo significato etimologico di “sapere” -; la kinesiologia non cura ma si occupa di favorire le risorse psicofisiche espressive dell’individuo, anche se molti medici si formano in questo ambito o collaborano con kinesiologi non medici al fine di integrare i loro protocolli terapeutici, la finalità resta facilitare i processi soggettivi di riequilibrio, mai la cura. Questo discorso non è l’artifizio dialettico per giustificare o tutelare il lavoro dei kinesiologi, per evitare abuso di professione medica; le cose stanno proprio così: la kinesiologia è prima di tutto un’arte con molte ipotesi di ricerca ad interesse scientifico; allo stato attuale non può essere considerata né una scienza né una pseudoscienza, come molti cercano di far credere allo scopo di darle credito o screditarla in funzione del gruppo di appartenenza. Chi tenta di descrivere la kinesiologia come una scienza che cura le malattie commette un gravissimo errore intellettuale ancor prima che etico, dimostrando di non aver compreso a fondo l’essenza di quest’arte. Forse un giorno verrà riconosciuta la sua validità scientifica come “arte terapeutica”, ma nulla di più di questo può essere la kinesiologia fino a quando ogni sua tecnica e ipotesi teorica non verrà presa a “cazzotti” dalla ricerca sperimentale in modo adeguato, considerando non solo cosa sottoporre a indagine scientifica ma anche i metodi più indicati per farlo. Ma la domanda è: è proprio necessario che debba essere riconosciuta come scienza?
Tuttavia, fino a quel giorno, possiamo considerare la validità della K. A. sulla base dell’esperienza di tanti kinesiologi che fino ad oggi contribuiscono a valorizzarne l’efficacia, sostenendo questa prospettiva metodologica e aiutando migliaia di persone attraverso i fatti esperiti ogni giorno sul campo.
La visione della kinesiologia secondo il modello NovaTherapy®
Il punto di vista della kinesiologia diventa chiaro dal momento in cui si definisce il livello corporeo su cui si basa il suo approccio. Esistono due livelli corporei concreti e complementari che, seppur distinti, caratterizzano il modo con cui possiamo concepire il corpo: il primo, più comune alla scienza, è il corpo inteso come organismo o, se vuoi, corpo organico – oggettivo –. È la concezione corporea dello scienziato, del medico e di tutte le discipline che osservano il corpo come oggetto; ed è un bene che sia così, i traguardi della scienza si basano proprio su questa visione dove il corpo è considerato in terza persona, senza questo modello non avremmo il progresso scientifico di cui siamo testimoni.
Ma facciamo un esempio per capirci meglio. Poniamo che tu debba fare un controllo dal’oculista: entri nell’ambulatorio, il medico si presenta porgendoti la mano e tu contraccambi, nel frattempo vi guardate negli occhi e ti accorgi che lo sguardo del dottore è affabile, buono, con un piglio acuto che esprime intelligenza; lui fa lo stesso accorgendosi che il tuo sguardo è tranquillo e che ti senti accolto, al sicuro. Vi trovate entrambi simpatici e in sintonia: l’espressione condivisa dei vostri sguardi ha creato i presupposti per l’intersoggetività, lo scambio di un significato vissuto nell’esperienza comune. Poi, il simpatico oculista ti invita a sederti, prende il suo strumento ottico e scruta il tuo occhio. Ora il tuo occhio non ha più nulla di espressivo, è diventato l’oggetto di osservazione del medico: non è più un’occhio che guarda e si esprime attraverso lo sguardo e l’espressività del volto, è un occhio guardato, ridotto a oggetto, a organo da analizzare. In questo frangente per il medico tu non sei più il simpatico paziente con lo sguardo fiducioso e un po timoroso, sei ridotto ad un complesso oggetto organico di cui lui osserva una parte. Ripeto, è un bene che sia così altrimenti il medico non riuscirebbe a curare il tuo occhio, né a capire da quale problema è affetto e a stabilire la diagnosi e la cura più adeguata.
L’esempio che ti ho appena fatto riflette proprio la differenza fra i due livelli corporei: quello organico e quello espressivo, del Corpo Vissuto. Ecco, la kinesiologia opera su quest’ultimo, il livello espressivo: dove il corpo è vivo ed esprime la soggettività mutabile di ogni individuo, manifestando la storia personale con le sue tensioni. Questo livello pone non pochi problemi alla scienza il cui scopo è trovare principi, leggi e soluzioni universali: infatti la peculiarità del corpo espressivo sta proprio nell’espressione della soggettività mutevole dell’individuo ed è su questa [aporia] che la kinesiologia, “dialogando” col corpo, basa la maggior parte dei suoi approcci “clinici”.
Il kinesiologo capace dunque, interagisce con la tua soggettività entrando in contatto con la dimensione espressiva del corpo e, mettendo tra parentesi ogni schema precostituito, apre un dialogo in cui il corpo fa da mediatore ai contenuti della “conversazione”. Seguendo l’espressività corporea il kinesiologo scopre lo schema più autentico, soggettivo, unico e personale che emergere dall’interazione con te.
In questa “danza” espressiva la bravura del kinesiologo sta nel saper accogliere la tua soggettività, lasciando ad essa lo spazio necessario per esprimersi attraverso la dimensione individuale più concreta, il corpo – inteso come corpo espressivo -. Si tratta di un approccio complesso che richiede anni di esperienza, studio e pratica, tantissima pratica. Il kinesiologo capace può definirsi un “eterno principiante” che cerca di conoscere, mettendo da parte quello che sa già, l’essenza dell’altro; egli si affida alla saggezza espressiva del corpo dell’altro per scoprire, insieme all’altro, l’essenza della sua soggettività e quali siano le cause o gli scopi alla base del malessere. Tutto ciò, allo scopo di favorire l’espressione dell’inespresso del corpo vissuto.
Di per sé la soggettività non è scientifica, in quanto non è riducibile a principi universali ed a risultati prevedibili e ripetibili da chiunque. La psicologia sperimentale, per esempio, ci prova da secoli con risultati interessanti fra l’altro; tuttavia, quando si tratta di soggettività, dove è la coscienza a farla da padrone, resta sempre un punto ceco ambiguo, una nota folle, impossibile da imbrigliare, catalogare e definire in modo univoco oggettivo. Soprattutto quando si passa dalle indicazioni scientifiche sperimentali, all’esperienza vissuta sul campo: la mappa non è mai il territorio, per usare una frase fatta che sintetizza bene il concetto. Ciò vale ancor di più per le scienze kinesiologiche applicate: queste si occupano del territorio. Studiano il territorio – il corpo vissuto – adattando le indicazioni della mappa ad esso; invece, spesso gli approcci scientifici fanno esattamente l’opposto: creano rappresentazioni della realtà – mappe – e adattano il territorio a queste mappe rappresentative. Gli aspetti del territorio che non si adattano alla mappa, vengono ignorati. Pertanto l’approccio di tante discipline scientifiche, per quanto sia basato su mappe molto precise, può cadere spesso in errori. A causa del fatto di basarsi esclusivamente sulle rappresentazioni: cercando di adattare il fatti – il territorio, la realtà vissuta – alle rappresentazioni – la mappa, la realtà meramente scientifica -; le discipline come la kinesiologia applicata, fanno esattamente il contrario: studiano il territorio e adattano le mappe ad esso. Quando la mappa non si adatta, viene arricchita e ridimensionata. Tale approccio dovrebbe essere anche quello della scienza, tuttavia è difficile applicarlo su larga scala, quando le radici su cui poggia buona parte della scienza sono rappresentazioni della realtà astratte universalmente condivise; ovviamente ciò non riguarda tutta la scienza, ma un errore sistematico in cui spesso può cadere. Diverso è per quanto riguarda gli approcci soggettivi, come la kinesiologia applicata, in questo caso diventa più semplice il processo di adattamento delle rappresentazioni ai fatti soggettivi vissuti dall’individuo.
Secondo il mio punto di vista, allo stato attuale il modo più concreto per capire come funzionano le scienze kinesiologiche applicate è quello di inquadrarle dalla prospettiva fenomenologica del corpo vissuto o usando un termine caro alla ricerca NovaTherapy “corpo espressivo”. ovviamente senza dimenticare i concetti, le ipotesi e le tecniche basate sulla fisiologia dell’organismo che conducono a ipotesi e spunti sperimentali di ricerca interessanti. Chissà, forse un giorno, nonostante i risultati concreti sull’efficacia dati dall’esperienza quotidiana dei tantissimi kinesiologi, di cui molti sono anche medici e scienziati, avremo anche le evidenze scientifiche sufficienti per dimostrare la validità sul piano organicistico di questa meravigliosa e stimolante arte della salute; di cui, comunque, esistono già molte ricerche sperimentali interessanti dimostrate da libri come quello di Giacomo Pagliaro: “Kinesiologia applicata. Le basi neuro-fisiologiche, le procedure e i protocolli operativi”; o da alcune pubblicazioni su pubmed come questa per esempio: [Correlation of applied kinesiology muscle testing findings with serum immunoglobulin levels for food allergies].
Tuttavia, allo stato attuale, la cosa più importante da fare è restaurare i contenuti teorici di base e filosofici della materia, allo scopo di creare delle fondamenta solide da cui ripartire.
Pertanto, la kinesiologia applicata è prima di tutto un arte. Basata sul “dialogo” con il corpo espressivo in cui le tecniche utilizzate hanno lo scopo di scoprire l’organizzazione espressiva del soggetto su tre piani interconnessi e inscindibili: strutturale, biochimico e psichico. Quando questa organizzazione è turbata, il fine del kinesiologo è scoprire le sorgenti di stress che causano lo squilibrio e, attraverso opportune correzioni, favorire le risorse psicofisiche affinché il corpo possa “esprimere l’inespresso”; aiutando il soggetto a liberarsi dal malessere o blocco che ostacola la sua vitalità espressiva nel mondo. Riconquistando e/o potenziando il livello ottimale di benessere soggettivo.
– Per approfondire leggi anche l’articolo per addetti ai lavori: [Kinesiologia e Chinesiologia]
Articolo di:
Fabio Valenzisi