
Nella preparazione del kinesiologo professionista la formazione teorica riveste un ruolo fondamentale: nonostante sia una disciplina prevalentemente pratica, ciò non può costituire giustificazione per sottovalutare lo studio e l’approfondimento teorico, anche multidisciplinare, soprattutto oggi da quando si sono sviluppati ambiti di ricerca innovativi che mettono in evidenza la plausibilità delle intuizioni dei pionieri storici della kinesiologia. Un esempio importante lo dà l’embodied cognition – cognizione incarnata – un programma di ricerca che si è sviluppato negli ultimi vent’anni.
Questo innovativo ambito di ricerca può contribuire allo sviluppo teorico e tecnico delle discipline olistiche come la kinesiologia? Sembrerebbe di sì visto la forte affinità nella concezione del corpo: nelle arti kinesiologiche applicate il corpo è visto nella sua globalità, come espressione integrata della mente; punto di vista su cui si interrogano i ricercatori dell’embodied cognition: secondo questo orientamento la natura della mente umana sarebbe ampiamente determinata dalle caratteristiche e dai movimenti del corpo umano. Sostenendo che tutti gli aspetti della cognizione (idee, pensieri, concetti e categorie) sarebbero plasmati da aspetti del corpo. Tali aspetti comprendono il sistema percettivo, le intuizioni che sottostanno alle capacità di movimento, le attività e le interazioni con l’ambiente, e i presupposti ontologici sul mondo integrati nel nostro corpo e nel nostro cervello. Tutti elementi comuni alle arti kinesiologiche applicate che, seppur con terminologie meno raffinate o diverse, sostengono da più di 50 anni le ipotesi affrontate ora nella ricerca dell’embodied cognition cominciata verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso.
Alla luce di questa premessa: possiamo affermare che la prospettiva dell’embodied cognition rinforza buona parte di quello che i pionieri – della kinesiologia applicata, degli orientamenti derivati e discipline affini – sostenevano già dalla metà anni ’60? Studiosi come George Goodheart, Paul Dennison, Cecilia Koester, John Upledger, Carl Delacato per citare i maggiori, avevano già intuito attraverso la pratica clinica quello che oggi le ricerche d’avanguardia, come l’embodied cognition, sembra stiano ponendo come evidenza di ordine scientifico. Cioè il fatto che la mente non è una costruzione astratta, un’entità che lavora con dei simboli separati dal corpo: la cognizione incarnata considera i processi cognitivi come profondamente radicati nelle interazioni del corpo con l’ambiente. E questa è effettivamente la stessa posizione assunta dalla kinesiologia applicata, soprattutto per quanto riguarda orientamenti storici più recenti come la kinesiologia educativa sviluppata grazie al lavoro del Dr. Paul Dannison.
L’EMBODIED COGNITION INCROCERÀ LA STRADA DELLA RICERCA IN KINESIOLOGIA?
Personalmente credo che il campo di ricerca dell’embodied cognition stia gettando basi fertili per lo sviluppo e l’affermazione delle discipline olistiche del corpo come le arti kinesiologiche applicate. Probabilmente ha aperto la strada ad un cambiamento di prospettiva riguardo al corpo umano, sostenuto empiricamente anche dalla ricerca in neuroscienze. Una sfida al riduzionismo scientifico tutt’ora in voga. Con queste premesse è ragionevole pensare che prima o poi il sentiero dell’embodied cognition incrocerà la strada di quelle discipline olistiche che, come la kinesiologia (con la Kappa), approcciano alla conoscenza del corpo proprio da una prospettiva “incarnata”, vitale, vivente e vissuta. Un’affinità di campo significativa fra ricerca scientifica e prassi empirica.
Con questo scenario, sta a noi professionisti del settore kinesiologico accorgerci, interessarci e andare incontro a questa prospettiva prima che sia lei a raggiungerci all’improvviso prendendoci di sorpresa e stravolgendo il nostro settore. Rischiando l’amara possibilità che, come già accaduto in passato per altre discipline alternative, nessuno renda a conto a noi ricercatori pionieri del settore. E senza permesso ci venga sottratto il merito del lavoro empiricamente svolto e sudato da decenni.
Allo stato attuale, solo chi non ha cognizione di causa o possiede rigide conoscenze approssimative e obsolete può ritenere le discipline olistiche del corpo, come la kinesiologia, pseudoscientifiche. Non si tratta più di credere o meno: i tasselli multidisciplinari da studiare sono moltissimi e possono formare un quadro teorico solido a sostegno di discipline come la “kinesiologia applicata generale”, la kinesiologia educativa e altri importanti orientamenti kinesiologici. Sta dunque a noi kinesiologi contribuire, al fine di mettere ordine a una parte di questi tasselli, intensificando la ricerca in kinesiologia; cooperando interdisciplinarmente affinché diventi capillare e fruibile a tutti gli addetti ai lavori del settore olistico della kinesiologia. Dobbiamo fare la nostra parte!
Chissà, forse, l’embodied cognition si svilupperà appieno quando il suo orizzonte di ricerca prenderà pieno contatto con quello pragmatico sviluppato in quei settori “alternativi” della conoscenza umana come la kinesiologia.
Questo contatto, a mio avviso inevitabile, contribuirà ad arricchire e perfezionare il piano empirico con cui la kinesiologia ha applicato le sue tecniche per decenni secondo la visione “incarnata” dell’essere umano. Uno sviluppo reciproco dove teoria, ricerca e prassi troveranno finalmente un punto di contatto unitario, di cui possiamo già scorgere i primi segnali impliciti fra le righe pubblicate dagli studiosi di embodied cognition.
UNO STUDIO METTE IN EVIDENZA QUELLO CHE IN KINESIOLOGIA SI SOSTIENE DA DECENNI
Un esempio interessante lo offre lo studio randomizzato del 2015 dove un gruppo di ricercatori neozelandesi ha indagato se le risposte emotive e cardiovascolari durante lo svolgimento di un’attività psichicamente stressante possano essere diverse in caso venga assunta una postura seduta a schiena dritta rispetto a una postura seduta a schiena accasciata.
Ricordo il lontano 2000, quando durante le prime lezioni del corso di kinesiologia ci spiegavano già le dinamiche che lo studio neozelandese ha posto in evidenza dopo 15 anni: i muscoli, effettori macroscopici del nostro sistema nervoso, modificano la loro tensione come risposta di adeguamento fisico agli stati emotivi stressanti. Infatti, è conoscenza comune fra noi kinesiologi che se la postura si modifica anche lo stato delle emozioni viene coinvolto, e viceversa. Si tratta di una conoscenza elementare in kinesiologia. Se, ad esempio, affronti la vita guardando il mondo dal basso verso l’alto, la tua autoefficacia è molto ridotta rispetto all’affrontare la vita guardando il mondo dritto negli occhi. Questo è il concetto di fondo che lo studio neozelandese ha messo in evidenza nel 2015, portando implicitamente sostegno alle intuizioni empiriche sostenute da sempre in kinesiologia, dove la postura e l’equilibrio muscolare “incarnato” sono oggetto di studio fondamentale su cui i kinesiologi applicano le loro tecniche, attraverso la prospettiva “incarnata” messa in evidenza dai ricercatori neozelandesi. Ma vediamo nel dettaglio cosa dice lo studio.
LE POSIZIONI ACCASCIATE ED ERETTE INFLUENZANO LE RISPOSTE ALLO STRESS? UNO STUDIO RANDOMIZZATO
Uno studio di un gruppo di ricercatori della Nuova Zelanda (Nair et al, 2015) ha indagato se le risposte emotive e cardiovascolari durante lo svolgimento di un’attività psichicamente stressante possano essere diverse in caso di utilizzo di una postura seduta a schiena dritta rispetto a una postura seduta a schiena accasciata.
I ricercatori hanno suddiviso 74 partecipanti in un gruppo “schiena dritta” e in un secondo gruppo “schiena accasciata”, sottoponendo i partecipanti a compiti di lettura ed esposizione in pubblico (Trier Social Stress speech task), a valutazioni dell’umore, dell’autostima e della minaccia percepita – il tutto mentre veniva monitorata la loro frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. Le loro schiene sono state fissate con nastro adesivo fisioterapico allo scopo di mantenere la postura assegnata durante lo studio. I partecipanti hanno completato un compito di lettura, il compito sullo stress sociale di Treviri, le valutazioni dell’umore e dell’autostima percepita. La pressione sanguigna e la frequenza cardiaca sono state misurate continuamente.
I risultati riportano come i partecipanti del gruppo “schiena dritta” hanno ottenuto migliori valori di autostima, maggiore concentrazione, migliore stato d’animo e minore paura rispetto al gruppo “schiena accasciata”.
L’analisi verbale ha riportato inoltre come i soggetti del gruppo “schiena accasciata” utilizzarono termini con una connotazione emozionale maggiormente negativa: pronomi in prima persona singolare, vocaboli con un’accezione di tristezza, un numero minore di termini riconducibili ad emozioni positive e un numero minore di parole totali durante i test. I partecipanti “schiena dritta” hanno presentato un polso a più alta pressione sia durante che dopo il fattore di stress.
Gli autori hanno concluso che l’adottare una postura a schiena eretta da seduti sia in grado di aiutare a fronteggiare lo stress, migliorare l’autostima, ridurre gli stati d’animo negativi, accrescere la fluidità del discorso e ridurre l’auto-focus (pronomi in prima persona singolare). Motivi per i quali la postura seduta a schiena eretta può costituire una semplice strategia comportamentale per accrescere la resilienza allo stress. La ricerca è coerente con le teorie dell’embodied cognition secondo cui gli stati muscolari e autonomici influenzano la risposta emotiva.
Qui l’abstract originale dello studio.
KINESIOLOGIA E RICERCA
Questa ricerca costituisce un riferimento interessante per sostenere la plausibilità di ciò che nell’ambito delle arti kinesiologiche applicate si afferma da decenni, input importante per implementare la ricerca in kinesiologia. Un riferimento più che sufficiente per esortare i kinesiologi professionisti, ricercatori e docenti di ogni orientamento kinesiologico, ad ampliare l’orizzonte di studio oltre i sentieri tecnici già battuti. Allo scopo di arricchire, sviluppare e aggiornare non solo l’impianto tecnico della prassi kinesiologica ma soprattutto quello teorico, collante fondamentale su cui si reggono le metodologie e le tecniche. Più questo collante teorico diventa forte più la nostra disciplina guadagna elementi preziosi per affermarsi culturalmente. Offrendo sempre più spessore a tutti i kinesiologi che praticano quotidianamente la professione.
Nella seconda parte di questo articolo verranno approfondite alcune questioni relative all’embodied cognition e all’importanza dello studio multidisciplinare nel settore delle arti kinesiologiche applicate.
Articolo di:
Fabio Valenzisi
Bibliografia essenziale:
– D. S. Walters, D.C., “Kinesiologia Applicata – Synopsis” (1993); Ed. Castello.
– P. Dennison e Gail Dennison, “Brain Gym®, impara a muoverti muoviti per imparare” (2010); Ed. Tiguliana.
– P. Dennison e Gail Dennison, “Brain Gym® 101 l’equilibrio nella vita quotidiana” (2008); Ed. Tiguliana. (libro riservato agli allievi).
– M. M. Ponty, “Fenomenologia della percezione” (1945-2003); Ed. Bompiani.
– V. Costa, “Psicologia fenomenologica” (2018); Ed. Morcelliana.
– F. Della Gatta – G. Salerno, “La mente dal corpo” (2018); Ed. In.edit.
– Denise Erbuto, “Riflessioni sull’esperienza della corporeità: tra Leib e Körper” (giugno 2014); Corpo Narrante, Rivista online dell’I.I.F.A.B.
Le informazioni contenute in questo post non sono indicazioni o prescrizioni mediche, hanno il solo scopo di informare. Al fine di agire nel rispetto del proprio corpo e bene farsi seguire da operatori del benessere accreditati e consultare sempre il proprio medico.
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