
Con questo articolo andiamo ad analizzare alcuni fattori per capire perché la kinesiologia “non è scientifica”.
Nel senso comune si è venuta a creare la convinzione che se qualcosa non rispetta i canoni della scienza ortodossa, allora è inutile o inefficace. Tale credenza è giustificata dall’impatto mediatico sempre più pervasivo del modello di pensiero del “scientificamente provato”. Sono tantissime le persone, dall’ignorante al più erudito, ad avvalersi di questo “storitelling” a mo’ di riflesso condizionato, per tentare di demolire qualsiasi cognizione umana che non rientra nello “schema scientifico” comune o per meglio dire: nel senso comune di massa. Ma la domanda che dovrebbero porsi i sostenitori delle “fonti” e del “scientificamente provato” è: qual è lo schema o il modello scientifico a cui mi riferisco?
Vediamo di capire alcuni passi fondamentali: qualsiasi disciplina scientifica o aspirante tale, persegue o deve confrontarsi con “la pietra filosofale” della scienza, ovvero il metodo sperimentale o la possibilità di fregiarsi di questo metodo di ricerca. Si tratta del massimo grado di validazione in campo scientifico, attraverso il quale una teoria viene confermata dal metodo sperimentale diventando scientifica a tutti gli effetti, con tutto ciò che ne consegue: pubblicazioni, applicazione tecnica, finanziamenti, diffusione e soprattutto fiducia popolare. La teoria dunque, acquisisce consenso e viene accettata come valida e scientificamente provata, fino a quando non viene falsificata da una nuova teoria, almeno secondo la concezione Popperiana di scienza e di riduzionismo meccanicistico tutt’ora più o meno in voga nel mondo scientifico.
Le persone, dall’ignorante all’erudito, sostenitrici degli “slogan”: è scientificamente provato? Dove sono le fonti? Nella maggior parte dei casi si riferiscono – consapevolmente o inconsapevolmente – proprio al paradigma relativo al metodo sperimentale. Ma sono pochi ad essere consapevoli di come si arriva a tale metodo, di come funziona e dei presupposti che lo caratterizzano.
SCIENZA E CONOSCENZA
La parola “scienza” deriva dal latino e significa conoscenza, pertanto dal punto di vista etimologico ogni cognizione acquisita con lo studio e l’osservazione rientra nel campo scientifico umano. Tale significato è in linea con le concezioni filosofiche più antiche della conoscenza e del concetto di scienza in generale.
Oggi le cose sono più complesse: per scienza si intende l’Insieme delle discipline fondate essenzialmente sull’osservazione, l’esperienza, il calcolo, o che hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, e che si avvalgono di linguaggi formalizzati e sistematizzati; ed proprio la formalizzazione del linguaggio (e non di meno la sistematizzazione dei metodi e dei paradigmi adottati) il cardine centrale: perché, qualsiasi disciplina della cognizione umana può rientrare nell’insieme delle discipline fondate sull’osservazione, l’esperienza o che hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, ma non è scontato che abbiano il linguaggio formalizzato entro il paradigma scientifico ortodosso. In soldoni la scienza è prima di tutto catalogazione e categorizzazione universale di teorie, principi o leggi che “presumibilmente” governano la natura, definiti dentro un linguaggio paradigmatico preciso, rigoroso, sistematizzato e condiviso; che sovente si struttura entro un circolo chiuso, talvolta dogmatico, purtroppo. Dunque una disciplina che non rispetta questo linguaggio, cioè non rientra nel paradigma canonico globalmente accettato dalla maggioranza scientifica, per quanto possa portare osservazioni e dati empirici solidi, sostenuti da cognizioni sensate, o perlomeno degni di studio e interesse; se non si adegua al linguaggio del paradigma dominante, viene ostracizzata. Tale adeguamento, è bene dirlo, non sempre è possibile: la motivazione sta nel fatto che molte delle discipline fuori dal coro scientifico canonico si rifanno a paradigmi conoscitivi, parzialmente o totalmente, incompatibili a quelli sanciti come “veri” dalla comunità scientifica. Si tratta di un problema critico la cui soluzione può avvenire solo nel tempo, attraverso una rivoluzione scientifica, già in atto da qualche decennio. Quella ciclicità rivoluzionaria della scienza descritta dal filosofo Thomas Kuhn.
Questo primo punto mette in evidenza il perché le arti kinesiologiche applicate siano ancora distanti dall’inquadramento scientifico ortodosso: la kinesiologia, prima di tutto, “non è scientifica” perché non ha ancora un linguaggio formalizzato, adatto a dialogare con le altre discipline scientifiche e anche per li fatto che si rifà a paradigmi conoscitivi differenti. La causa di ciò riguarda due aspetti: il primo si riferisce alla nascita recente dell’orientamento kinesiologico applicato, siamo all’inizio degli
anni ’60 quando nasce la madre di tutte le “kinesiologie”, la kinesiologia applicata. Pertanto stiamo parlando di un insieme di orientamenti molto giovani: 60 anni per l’orientamento kinesiologico classico andando a scalare per quanto riguarda le prospettive derivate, che hanno dato vita ad altre “kinesiologie” ancora più giovani e moderne. Questo fattore temporale incide fortemente sull’allineamento della kinesiologia al linguaggio formalizzato della scienza, dato che, essendo ancora giovane, i kinesiologi devono ancora accordarsi fra loro per allineare il proprio linguaggio tecnico specifico, entro panorama kinesiologico comune: ciò rende la kinesiologia un’ambito di studio ancora troppo immaturo per la scienza ortodossa. Il primo problema sostanziale dunque, riguarda il linguaggio interno alla kinesiologia. Fra gli orientamenti metodologici della disciplina stessa, non ancora allineati sui fattori specifici generali fondamentali che accomunano ogni orientamento kinesiologico. Il secondo aspetto problematico è strettamente collegato al primo: essendo così recenti, queste discipline devono ancora assestarsi fra di loro non solo nel linguaggio comune interno ma anche per quanto riguarda le linee base generali di formazione, questione importantissima per lo sviluppo serio e concreto di qualsiasi disciplina che intenda qualificarsi come scienza.
La formalizzazione inconsistente di un linguaggio kinesiologico comune e la conseguente mancanza di formazione generale di base, necessaria al collegamento coerente fra ogni orientamento kinesiologico, mantiene ancora oggi un grado di disorganizzazione interna sia fra i professionisti kinesiologi, sia fra le scuole di formazione. Da qui si evince chiaramente come la causa della non scientificità della kinesiologia abbia origine, in parte, dalla kinesiologia stessa e dai kinesiologi che la studiano e la applicano. Il fatto di essere molto recente come ambito di studio, poco organizzato al suo interno in termini di linguaggio e nelle linee metodologiche fondamentali generali, ha prodotto da parte dei kinesiologi e delle scuole di kinesiologia eccessiva attenzione più alla divulgazione delle tecniche già note e pronte all’uso, piuttosto che sullo sviluppo teorico e scientifico della disciplina; in più, tale atteggiamento, forse alimentato dall’epoca attuale del mercato libero competitivo, ha indotto la maggior parte dei kinesiologi e dei docenti delle maggiori scuole ad occuparsi più del marketing dei contenuti tecnici già noti, che dello sviluppo accademico della disciplina: come la ricerca, l’approfondimento multidisciplinare, lo sviluppo teorico e tecnico, la realizzazione di piani formativi comuni. Questo scenario – mi riferisco in particolare al panorama Italiano – ha limitato fortemente il dialogo aperto fra gli enti di formazione e fra i professionisti, censurando “velatamente” la libera condivisione delle novità emerse dall’esperienza empirica di tanti kinesiologi che non si sono fermati alle tecniche già note, “vivendo di rendita”, ma nel loro piccolo hanno continuato e continuano a ricercare. Sviluppando nuove prospettive kinesiologiche o rivalutando e arricchendo gli orientamenti consolidati verso nuove stimolanti direzioni, attraverso l’implementazione e l’ampliamento dei contenuti tecnici e teorici. E lasciatemi dire: la kinesiologia ha un gran bisogno di ampliamento teorico, in special modo per la fondazione solida dei suoi “perché”.
Pertanto, con un linguaggio frammentato al suo interno, la chiusura in se stessi degli enti di formazione, la mancanza di programmi didattici comuni, l’eccessivo interesse quasi compulsivo per il marketing pubblicitario e la poca attitudine dei kinesiologi alla pubblicazione e condivisione fra loro: con queste premesse, come può svilupparsi davvero un serio filone scientifico di ricerca nell’ambito delle arti kinesiologiche applicate? Non può svilupparsi!
Ciò ci porta ad un terzo fattore, che in parte giustifica la necessità di porre enfasi nel marketing: la kinesiologia è nata in un momento storico in cui l’attuale paradigma scientifico era già fortemente schierato e consolidato, dunque poco incline ad accettare al suo interno orientamenti conoscitivi distanti dal linguaggio e dalle linee paradigmatiche del pensiero scientifico generale che già prima degli anni ’60 aveva da tempo definito e stabilizzato i parametri di “ortodossia” dei suoi presupposti scientifici moderni. In questo scenario ogni disciplina distante dal paradigma scientifico ortodosso non ha avuto né il tempo né le possibilità per svilupparsi entro tale paradigma, e così discipline interessanti come osteopatia, chiropratica e kinesiologia applicata hanno dovuto cavarsela da sole, sviluppandosi entro le proprie nicchie. Con questi presupposti è perfettamente comprensibile, entro certi limiti, la tendenza dei kinesiologi e delle scuole di kinesiologia ad occuparsi prima di tutto del marketing: se si hanno poche risorse per fare ricerca e sviluppare la teoria e la pratica del proprio ambito di studio, diventa naturale focalizzarsi sulla promozione di quello che si ha già e si sa già; allo scopo di attirare clienti e/o allievi. Senza contare le critiche, talvolta dure, mosse dai sostenitori della scienza “ortodossa”, che hanno fortemente ostracizzato lo sviluppo e la credibilità di questa disciplina e delle sue consorelle. Critiche, mosse troppo spesso senza cognizione di causa; e purtroppo, bisogna dirlo, sovente alimentate proprio da chi dovrebbe tutelare la materia: “addetti ai lavori” dell’ambito kinesiologico un po’ troppo naif, o nei casi peggiori “kinesiologi” troppo sprovveduti nei modi di divulgare la kinesiologia, attraverso l’uso di linguaggi inappropriati e spesso volutamente sensazionalistici. Ciò non giustifica di certo il criticismo mosso senza cognizione di causa, ma bisogna ammettere che proprio quei comportamenti inappropriati assunti da certi “addetti ai lavori” in kinesiologia, rendono comprensibili le critiche sollevate dagli ambasciatori della scienza ortodossa.
Con questo clima così confuso, da “far west”, è stato semplice lo “sciacallaggio” delle metodologie kinesiologiche messo in atto da diverse entità e soggetti che – per furbizia, buona fede o necessità – hanno blindato commercialmente certe metodologie, ostacolando di fatto lo sviluppo della kinesiologia nel suo insieme. Questo fare si è protratto, più o meno, dall’inizio degli anni ’80: a suon di marchi registrati e appropriazioni intellettuali più o meno legittime; privando così ogni possibile progresso accademico delle arti kinesiologiche applicate.
SCIENZE DURE E SCIENZE MOLLI
Il massimo prestigio per uno scienziato è scoprire un principio della natura osservabile, applicabile e manipolabile in modo universale, ovvero replicabile da chiunque e per chiunque allo stesso modo. Indicativamente la persona media descrive tale processo così: se faccio A ottengo B, sempre; ergo, chiunque faccia A ottiene sempre B. In larga misura è questa la logica scientifica che a partire da Galileo si è sempre più affermata e deformata nel pensiero comune. Attenzione: tale approccio, nella sua fattispecie è funzionale, logico è di indiscussa utilità. Ma non è l’unico modo: il paradosso che condiziona il senso comune è quello di credere al metodo sperimentale (e sottolineo credere) come l’assoluto e unico approccio alla conoscenza, quando in realtà è soltanto uno dei tanti modi con cui è possibile conoscere la natura e l’esperienza umana.
Se dico che facendo A ottengo sempre B, sostengo implicitamente il principio più importante perseguito della scienza, la replicabilità: ciò che sostengo deve essere replicabile da chiunque assuma i miei stessi criteri di studio, questo vale soprattutto per le cosiddette scienze “dure”. Tali criteri di studio sono presupposti, atti a uniformare le modalità di osservazione/manipolazione delle variabili e la misurazione degli effetti prodotti dalla loro manipolazione. Tuttavia, sebbene questo approccio sia auspicabile al fine di oggettivare con sicurezza una teoria o un metodo, non tutte gli ambiti della conoscenza possiedono i requisiti adatti al metodo sperimentale e per questo necessitano di altri metodi per decretarne l’attendibilità scientifica, o quasi.
Pertanto, quando si domandano le fonti o se una disciplina sia scientifica o meno è necessario contestualizzare, vale a dire che il modo di essere scientifico per esempio della psicologia, è molto diverso dal modo di esserlo della fisica. Dunque, se chiedo scientificità ad un ambito del sapere umano è opportuno conoscere il contesto di conoscenza su cui quest’ambito si muove. Contestualizzare adeguatamente il discorso, partendo per lo meno dalla domanda, la disciplina a cui mi riferisco rientra fra le scienze “dure” o “molli”?
È opportuno essere consapevoli del fatto che nella scienza non esiste un modello assoluto ma diversi modelli, di cui i macroscopici sono: il modello fisico, il modello chimico, il modello biologico e il modello medico; aggiungerei anche quello fenomenologico, sociale e umanistico.
Ogni disciplina possiede il suo criterio metodologico basato sul contesto di conoscenza a cui si riferisce, per cui “pretendere” scientificità da una disciplina impone prima di tutto la conoscenza del modello idoneo e contestuale adottato per quella specifica area di conoscenza: certi ambiti della psicologia, per esempio, non saranno mai scientifici adottando come riferimento assoluto il modello fisico, dove è la matematica lo strumento fondamentale su cui si basa tale metodo.
Da qui si apre un’altra importante distinzione fra “scienze dure” che si rifanno principalmente alla matematica e “scienze molli” che oltre al metodo sperimentale utilizzano modalità differenti: dall’esperienza empirica alla ricerca statistica; la ricerca sul campo, fino ad arrivare agli studi di casi singoli, clinici o basati sull’evidenza. Dunque, pretendere scientificità da una “scienza molle” partendo dai presupposti delle “scienze dure” è un altro grave errore di fondo.
Nella media del senso comune sono molte le persone a parlare in nome della scienza riferendosi implicitamente, spesso senza conoscenze approfondite, all’esattezza matematica e al metodo sperimentale relativo alle scienze “dure”; nel tentativo di far valere la loro diffidenza nei riguardi di qualche disciplina sconosciuta o verso discipline affermate ma che non possiedono le caratteristiche di prevedibilità e riproducibilità delle scienze “dure”. Di per se tale atteggiamento è comprensibile, a patto di sapere davvero con cognizione di causa di cosa si sta parlando. Perché, dal momento che si ha cognizione di causa si sa distinguere il contesto epistemologico di una disciplina, pertanto in questo caso non parliamo più di diffidenza ma piuttosto di dotto scetticismo, riguardo un’ambito scientifico “molle” come ad esempio la psicologia, la storia o le scienze sociali.
Allargando il campo d’analisi, anche il contesto delle arti kinesiologiche applicate rientra appieno nel vasto orizzonte delle scienze molli, solo, non hanno ancora ottenuto un consenso accademico ufficiale. Ma conoscendo approfonditamente tali ambiti si può constatare con facilità il parallelismo con discipline accademiche come la psicologia che nonostante la sua natura “molle” è insegnata nelle università; così come anche la storia, la sociologia, la pedagogia, il diritto o l’economia e le scienze umane in generale. Tutte discipline che non possiedono solidi caratteri di prevedibilità e riproducibilità. Anche la medicina, soprattutto se privata dei suoi apparati tecnologici di sostegno che creano l’illusione di una scienza “dura”, è prima di tutto un arte con caratteristiche affini più alle scienze “molli” che a quelle “dure”. Infatti, accade spesso di fare confusione considerando la medicina una scienza naturale che indaga la natura, basata su solide basi matematiche strutturali. Ma non è affatto così: la medicina è una scienza “molle”, come tutte le altre scienze umane che indagano la natura dell’essere umano in tutte le sue sfaccettature, e dunque prive di una base matematica strutturale.
STRANEZZE E ANOMALIE: ERRORI DA CORREGGERE ENTRO IL PARADIGMA ORTODOSSO O IPOTESI CHE APRONO ORIZZONTI DI CONOSCENZA VERSO NUOVI PARADIGMI?
Grazie al mio lavoro ho la fortuna di confrontarmi con tante persone: medici, scienziati, persone acculturate con fior di laurea o gente comune dai lavori più disparati. In questi incontri mi capita spesso l’occasione di spiegare cos’è la kinesiologia e in cosa consista il mio lavoro.
Negli anni, fra un incontro e l’altro, ho potuto constatare come lo scienziato sia il più aperto di tutti alle “stranezze” cognitive sollevate dalla materia di cui mi occupo, le arti kinesiologiche applicate. E penso di aver capito dove sta il motivo: lo scienziato non esclude mai nulla a priori, considera ogni esperienza particolare o strana una possibilità, un ipotesi di studio. Tale atteggiamento mette il vero scienziato nella posizione di accogliere apertamente qualsiasi ipotesi sostenuta da contenuti plausibili. Questo è l’autentico atteggiamento scientifico, il resto è solo rigida chiusura al nuovo, finalizzata a sostenere quello che si sa già! Si tratta di due tipi di scetticismo: quello dello scienziato autentico è scetticismo razionale, aperto con cautela alle possibilità; ha già capito tante cose e allo stesso tempo è aperto a capirne altre. L’altro tipo di scetticismo è una sorta di nevrotica diffidenza, generata dal rigido tentativo di mantenersi entro l’orizzonte cognitivo conosciuto: ci si basa solo su ciò che si sa già e si lascia fuori ogni altro contenuto conoscitivo che non rientra nel proprio schema di conoscenze pregresse.
In sintesi, ho potuto apprezzare come lo scienziato autentico – o chi si approccia come tale pur non essendo propriamente scienziato – sia dentro un flusso virtuoso d’apprendimento, ciò gli consente di considerare nuove possibilità e ipotesi senza troppi problemi. All’opposto una gran fetta di persone è totalmente fuori da tale flusso d’apprendimento: incapace d’apprendere cose nuove, di prendersi il tempo per riflettere e valutare con cognizione di causa altri ambiti del sapere; vivono nella ignavia fatica di considerare le ipotesi o le idee fuori dal loro schema precostituito di convinzioni e preconcetti. Tale atteggiamento è tutto fuorché scientifico!

Come vediamo la questione è particolarmente complessa e apre la strada ad alcune domande: chi chiede le fonti e la validità scientifica di “qualcosa” è consapevole di cosa sia veramente la scienza? Oppure ripete a pappagallo quello che ha sentito dire dai media o ha letto sulle riviste prese in edicola? Dunque, è solo condizionato superficialmente a rispondere in modo riflesso, quando si tratta di conoscere cose o discipline “nuove” relative alla conoscenza umana? Perché qui il problema non è tanto la scienza che indipendentemente dai suoi modelli parte prima di tutto dall’osservazione di fenomeni che portano alla formulazione aperta di ipotesi; ma pare proprio che il problema stia nella tendenza a dogmatizzare la superficie della scienza – per lo più quella da rotocalco – o ancor peggio le proprie convinzioni, nell’indisponibilità di prendersi il tempo per riflettere con cognizione di causa su questioni che vanno fuori dai ranghi del già noto o dell’ipese dixit.
Sulla base di questa premessa, come dico da anni, le arti kinesiologiche applicate sono un complesso insieme di ipotesi di interesse scientifico. Certamente possono essere sottoposte a studi scientifici, ma nei dovuti modi: contestualizzando ogni loro premessa, teoria e tecnica. Per questo motivo faccio spesso il parallelismo con la psicologia: come nelle scienze psicologiche anche in kinesiologia esistono numerosi approcci, teorie e orientamenti; scenari ipotetici da poter studiare scientificamente, ma ogni scenario deve essere contestualizzato in modo adeguato. Se per esempio, in psicologia sociale, esistono ben sette metodi di ricerca è proprio per il fatto che, come abbiamo visto, non tutta la conoscenza scientifica può rifarsi esclusivamente al metodo sperimentale, anche se nell’ambiente scientifico pare proprio sia questo il massimo livello da perseguire. E a mio avviso ciò rappresenta un limite più che un pregio, vista e considerata la tendenza di certi accademici a perseguire il metodo sperimentale come fosse il “Santo Graal”.
Tornando a noi, come nelle scienze psicologiche, anche in kinesiologia è necessario, prima di sottoporla a sperimentazione o ricerca scientifica, identificare e/o strutturare di sana pianta i metodi logici più idonei per procedere con le sperimentazioni e le ricerche. Lasciando andare, prima di tutto da parte degli addetti ai lavori, il rigido tentativo di rifarsi forzatamente solo al metodo sperimentale come unica etichetta di credibilità.
Troppo facile dire: “la kinesiologia è una bufala ciarlatana”, senza entrare in merito a riflessioni epistemologiche; in questo modo si fa solo vile propaganda denigratoria senza cognizione di causa, superficiale e priva di contenuti sostanziali. Il cui unico scopo è la difesa del già noto e non la conoscenza e il progresso scientifico. Perciò, questo è l’appello a tutti i detrattori e tiepidi scettici: la ricerca scientifica necessita di fondi e di risorse per strutturare sperimentazioni serie sulle arti kinesiologiche applicate – ma potrei citare anche l’osteopatia e chiropratica – perciò, anziché denigrare e ostracizzare, aiutate in questa direzione! Donate fondi per la ricerca in questi ambiti; prima di giudicare informatevi in prima persona su queste discipline: leggete i libri fondamentali come “kinesiologia applicata synopsis I e II, per farvi un idea precisa e poter dibattere con cognizione di causa; parlate con chi insegna e studia seriamente la materia, magari frequentate qualche corso o seminario, a mente aperta, mettendo fra parentesi ogni preconcetto e conoscenza preacquista. Pretendete dagli scienziati di lavorare sulla strutturazione sperimentale di metodi adeguati per queste discipline. Aiutate in questa direzione! Nel caso contrario, state facendo solo dell’inutile e faziosa polemica: senza disponibilità, senza sapere, senza leggere i testi fondamentali, senza ascoltare, senza approfondire i contenuti sostanziali in modo critico e onesto: senza cognizione di causa!
Chi ha cognizione di causa, giudica e critica in modo intelligente e aperto: fa prima di tutto domande, non spara sentenze a casaccio ma accetta apertamente sia gli eventuali errori come le possibilità, con atteggiamento orientato all’arricchimento. Invece proprio chi non ha la minima conoscenza in merito all’argomento di cui parla spara sentenze superficiali e vuote critiche prive di spessore cognitivo, considerando le possibilità apparentemente inaccettabili e gli errori come appiglio per rincarare le dosi delle proprie invettive opinionistiche: perché in fondo, chi parla senza cognizione di causa può avere, al massimo, solo opinioni.

Thomas Kuhn
Questa è la risposta più frequente data dagli opinionisti “spara sentenze”, per certi versi la più intelligente: per questi ambiti particolari del sapere umano non c’è interesse da parte della scienza! Allora smettete di “pretendere” scientificità dalle discipline “alternative”, perché qui il problema non sta nell’assenza di scientificità ma nel rifiuto di fare scienza, allo scopo di mantenersi entro i confini del proprio paradigma ortodosso, che nel tempo – percorrendo le osservazioni di [Thomas Kuhn] – ha strutturato una “cricca” chiusa di elementi teorici il cui unico fine è mantenere invariato il modello paradigmatico dominante, considerando ogni anomalia come errore da correggere solo entro il paradigma dominante stesso. Quando ciò si rivela impraticabile, l’anomalia o l’errore viene scartato, invece di considerare l’arricchimento o l’aggiornamento del paradigma dominante; oppure accettare l’esistenza di altri paradigmi favorendo il loro sviluppo.
La kinesiologia come altre discipline “alternative” pone di fatto l’attenzione su numerose anomalie della scienza, in particolare quella medica e psicologica: prova empirica di ciò sono le numerose persone che soffrono di malesseri e dopo aver effettuato tutte le indagini mediche e/o psicopatologiche indicate dall’attuale “scienza normale”, non approdano a nessuna soluzione e continuano a star male; così, accade sempre più spesso che queste persone si rivolgano agli “alternativi della salute” – come ad esempio i kinesiologi, gli osteopati o i chiropratici – trovando risposte plausibili, sollievo, soluzioni e rimedio al loro malessere. Malessere che, come abbiamo visto, le “scienze normali” non hanno saputo né gestire e né comprendere. Tale fatto è esperienza comune di molti professionisti del settore “alternativo olistico” e, in prima persona, di molti soggetti/pazienti “delusi” dagli approcci normali. Per questi motivi, sono molte le persone che si rivolgono agli approcci “speciali”, sovente come ultima spiaggia, riuscendo a migliorare la loro condizione di malessere. E in molti casi risolvere definitivamente il loro problema.
Tutto ciò non deve costituire sterile critica verso gli approcci scientifici normali, ma piuttosto innescare l’atteggiamento scientifico autentico, quello che porta naturalmente alla domanda: perché accade questo? Perché un mal di schiena resistente alle cure ortodosse viene catalogato come un problema irrisolvibile di artrosi, per poi migliorare con trattamenti “alternativi”? – Per fare un esempio molto esemplificativo, ma frequente nell’ambito professionale di noi “alternativi” dei “rimedi manuali”, come la kinesiologia applicata e i suoi variegati orientamenti metodologici.
Inoltre è bene mettere in evidenza un fatto derivato da questo scenario: le persone che non ottengono risultati soddisfacenti attraverso le discipline scientifiche ortodosse vivono uno stato di abbandono e, perse per strada, non si sommano di certo alle statistiche dei successi di queste. Così, essendo una minoranza, di cui una parte resta comunque fedele – per non dire in balia – alle discipline scientifiche normali e l’altra parte si avventura affidandosi alle metodologie “alternative”, hanno limitatissima risonanza sociale. E la triste conseguenza è l’illusione di massima e indiscussa efficacia dei metodi scientifici normali che, eludendo gli errori e le anomalie dei loro paradigmi, rinforzano la percezione dell’opinione pubblica verso l’apparente irrilevanza o inefficacia degli approcci “alternativi. Quando invece, se si desse voce a queste minoranze si controbilancerebbe in modo equo e reale la percezione di efficacia di entrambe le categorie “terapeutiche”. Con significativi vantaggi per il benessere sociale: da una parte, la minoranza delle persone scontente dei metodi normali ma che gli restano nonostante tutto fedeli, avrebbe la possibilità di conoscere nuove strade per migliorare le proprie condizioni di malessere, sentendosi sicure e autorizzate a perseguirle; e dall’altra avremmo l’arricchimento della conoscenza umana, dato dall’accoglienza su larga scala e priva di remore, di discipline “speciali” che seppur non allineate perfettamente al paradigma scientifico normale, portano comunque evidenti vantaggi al benessere individuale e collettivo delle persone. In ultimo, la fetta di minoranza che si affida ai metodi “alternativi” e ottiene risultati, sarebbe naturalmente portata a riporre nuovamente piena fiducia nella scienza ortodossa normale, risultato molto importante se si vuole davvero fare del bene alla collettività, tutta. Infondo, ciò che tende verso la piena giustizia, sono le scelte operate secondo giusta misura.
LE DISCIPLINE “ALTERNATIVE” COME LA KINESIOLOGIA, SI OCCUPANO DI FATTI IRRILEVANTI OPPURE DI FATTI ANOMALI PER LA SCIANZA NORMALE?
Allo stato attuale le discipline come la kinesiologia applicata non sono scientifiche nel senso comune del termine, ma sono espressioni alternative della cognizione umana. Esse si occupano di lavorare e studiare sulle anomalie della scienza normale: infatti, le maggiori discipline o medicine “alternative”, nascono e prosperano proprio come risposta alle anomalie che la scienza normale non ha saputo o non sa ancora comprendere, e di cui a volte lei stessa ne è la causa.
Tali anomalie sono fenomeni che sfuggono dal paradigma scientifico maggioritario e a cui, dagli scienziati stessi, viene dato l’attributo di errore. Forse per evitare di mettere in discussione i principi solidi del loro paradigma normale, fondamento di tutte le conoscenze che sanno già?
I tentativi di correzione degli errori, messi in atto dagli attori principali della scienza ortodossa, si basano sui presupposti del paradigma: cercano la correzione dell’errore e dell’anomalia ma solo entro lo schema scientifico “normale”. Tuttavia, come è intuibile, questo approccio di correzione a volte ha successo e altre volte fallisce. Così, quando i protagonisti ufficiali della scienza non riescono a correggere l’errore o a far rientrare l’anomalia entro i loro criteri paradigmatici, cosa fanno? Tendono a comportarsi nel modo più ingenuo, incappando nel bias cognitivo più elementare di conferma: scartano l’errore o l’anomalia in modo da non intaccare la solidità dell’insieme di conoscenze già in loro possesso; generalmente una buona fetta di questi sono gli scienziati, opinionisti o gli esperti da rotocalco e Talk Show, che danno piena risonanza al bias di conferma. Tale comportamento non ha nulla a che vedere con l’approccio scientifico autentico. Ma attenzione, anche gli alternativi della scienza, incappano in questo bias cognitivo, è giusto dirlo. Il problema risiede sempre nella presunzione dogmatica di sapere, del fermarsi cognitivamente al “credo” senza andare oltre: al rigido attaccamento alle conoscenze già note, scientifiche o prescientifiche che siano. Qui non mi dilungo ulteriormente, chi ha sensibilità per intendere intenda… gli altri, prima o poi, se vorranno ci arriveranno.
L’accumularsi nel tempo di fenomeni anomali e di errori incomprensibili alla scienza normale, costituisce la genesi della crisi di un certo paradigma scientifico e di conseguenza dei conflitti fra chi detiene il potere scientifico ortodosso e i pionieri delle novità, che spesso operano fuori dalle accademie universitarie o dagli istituti ufficiali del sapere confrontandosi con tali anomalie tutti i giorni, sul campo empirico dell’esperienza. Uno scenario che fa affiorare la reminiscenza dei “teatri anatomici” del ‘600 in cui i medici eruditi osservavano le dissezioni su cadaveri operate dai “meno eruditi” cerusici dell’epoca: aspre furono le diatribe fra ciò che i medici credevano e imponevano come verità, perché scritta sui loro libri “sacri” della medicina e ciò che i barbieri-cerusici, precursori della chirurgia moderna, invece vedevano e toccavano con mano in prima persona: fatti empirici che contraddicevano gli assunti scritti sui libri di medicina dell’epoca. Sappiamo tutti com’è finita questa storia, i medici eruditi hanno dovuto arrendersi e accettare i barbieri-cerusici come colleghi; medicina e chirurgia sono diventate discipline inseparabili della formazione di base del medico. Come spesso accade la storia insegna, a chi vuole veramente imparare le sue lezioni!
INTERESSE PER LA TUTELA DELLA CONOSCENZA O TUTELA DELLA CONOSCENZA PER INTERESSE?
A questo punto, ritengo opportuno citare anche il problema dell’interesse della “scienza” nel mantenere stabile il suo paradigma dominante: il conflitto di interessi nella scienza c’è sempre stato, la letteratura storica ne è testimone; ma oggi più che mai è sotto gli occhi di tutti. Per saperne di più su questo leggi l’articolo: “Come è nata l’attuale medicina”.
E’ evidente come l’interesse finanziario e/o politico costituisca il cuneo più resistente al cambiamento e all’arricchimento scientifico. Ma qui il mio intento vuole essere propositivo, pertanto evito di dilungarmi su queste questioni scabrose prodotte dalla vanità umana. Il mio scopo è mettere in evidenza come certe attribuzioni di “non scientificità”, rivolte alle discipline “alternative” come le arti kinesiologiche applicate, siano spesso inconsistenti e basate per lo più sul discredito sensazionalistico e superficiale che su riflessioni ponderate e contestuali. Pertanto, arrivati a questo punto nella nostra analisi, è necessario mettere in evidenza come il movente di tali attribuzioni e dell’enfasi posta nello screditare a piena voce, spesso risieda più nella tutela degli interessi politici ed economici che nell’intenzione autentica di tutelare l’interesse collettivo da conoscenze o pratiche potenzialmente “nocive”. Ad alcuni questa affermazione può apparire l’ennesima narrazione “complottistica”, ma desidero tranquillizzare tutti: io non affermo che la scienza si muove esclusivamente per interessi economici e/o politici; ma affermo che, osservando lo scenario mediatico attuale dei maggiori canali comunicativi di divulgazione, ci sono i presupposti per nutrire ragionevoli dubbi sui veri scopi perseguiti da certi attori della scienza. Tali dubbi si giustificano dall’osservazione delle modalità di comunicazione adottate dagli attori della scienza ortodossa che troppo spesso appare fazioso, rigido, unilaterale e studiato ad hoc per veicolare soltanto le opinioni funzionali alla conferma delle proprie posizioni: si scelgono modalità comunicative ridondanti, persuasive e accattivanti, talvolta anche violente; senza una reale disponibilità al confronto autenticamente scientifico, nel senso più elevato del termine. Le domande fondamentali che nascono da questi ragionevoli dubbi sono: perché i media comunicano proprio così? A quale scopo? Perché, ad esempio in televisione, si dà spazio più alla polemica che all’equo e pacato confronto? Ad ognuno la sua risposta.
Ma ora rientriamo nel nostro tema centrale.
Qualunque kinesiologo intellettualmente onesto non ha nessun problema ad ammettere che la kinesiologia non è scientifica, almeno entro il paradigma scientifico dominante. Ma da qui ad asserire che le arti kinesiologiche applicate sono bufale, inefficaci o ciarlatanerie c’è ne passa. Pertanto, è dovere di ogni kinesiologo adottare atteggiamenti aperti al dibattimento, studiare oltre alle tecniche specifiche anche la filosofia e tutte le scienze che possano apportare sostegno alle arti kinesiologiche applicate; e con onestà intellettuale, saper rigettare attraverso contenuti solidi ogni sterile attribuzione provocatoria priva di cognizione di causa. Ciò implica, prima di tutto, la disponibilità a condividere e a dialogare apertamente fra addetti ai lavori, cioè fra noi Kinesiologi.
In fondo, persino in biologia esiste un postulato che viene definito “dogma centrale della biologia molecolare”, dunque? Di cosa stiamo parlando? Anche se Francis Krich a suo dire: “Dogma era solo una frase ad effetto”; resta il fatto che hanno scelto questa parola e non un’altra, hanno scelto proprio quella linea comunicativa “ad effetto”.
Le parole hanno un peso e la loro scelta, per quanto giustificata razionalmente, ha sempre un impatto comunicativo più ampio di quello che si vuol far credere. Per un critico intellettualmente onesto l’uso dell’attributo “dogma centrale” appare implicitamente come dire: “siccome non sappiamo di più su questo argomento, ma questa teoria ci fa comodo, diciamo “dogma” come parola ad effetto, così allo stesso tempo sfruttiamo il senso linguistico soggiacente per “blindare” il nostro paradigma, allo scopo di sostenere la strada già intrapresa, costruirci sopra altre teorie e portare avanti i nostri programmi”. Mi rendo conto di stare utilizzando un esempio molto forte e facilmente criticabile come “fantasia complottistica”; tuttavia, l’esempio vuol mettere in luce come la scienza possa cadere spesso in dinamiche autoreferenziali atte a costituire o a mantenere in piedi i proprio paradigmi noti, ciò che Kuhn chiamava “scienza normale”: questo atteggiamento produce una zona erronea grigia, un tacito margine di tolleranza scientifico dove per lo scienziato è possibile asserire anche cose discutibili, purché si rifacciano e/o rafforzino il paradigma dominante. Le stesse cose dette con altro linguaggio da soggetti fuori “dal cerchio della fiducia” degli scienziati ortodossi, sarebbero fortemente criticate ed etichettate come stranezze autoreferenziali non scientifiche e dannose per la collettività. In questi casi si gioca la carta “dell’amore” paternalistico per pazienti e cittadini, per la tutela collettiva. Forse come stratagemma? Per evitare qualsiasi argomentazione approfondita su questioni che escono dal paradigma ortodosso della scienza? Per evitare di confrontarsi con altri paradigmi della conoscenza? Oppure, peggio, per mantenere la propria posizione dominante al fine di proteggere i propri interessi? Come disse un grosso politicante: a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina!
Se si vuole essere veramente onesti, chi non ha mai avuto anche solo un piccolo dubbio sulle intenzioni portate avanti dal così detto “sistema”: le discipline ortodosse della scienza, quando si fondono con le questioni economiche e politiche, operano sempre e solo per il bene di pazienti e cittadini? O perseguono altri fini? A ognuno lascio i suoi ragionevoli dubbi e le saggie, oneste risposte, scaturite da essi. Chi invece ha piene certezze su questo, si goda il suo bagno caldo: Ma tenete d’occhio la temperatura dell’acqua, per evitare di fare la fine della rana di Chomsky.
Fortunatamente la spinta umana verso la conoscenza è inarrestabile. Per quanto si tenti disperatamente di puntellare lo scricchiolio traballante dei paradigmi dominanti obsoleti per mantenerli in vita, prima o poi le anomalie saranno cosi tante da generare una rivoluzione di paradigma, ciò è inevitabile.
Ma questo non deve allarmare più di tanto i conservatori e gli amanti del confort dato dalle certezze delle conoscenze note; perché si tratta del naturale processo di sviluppo della conoscenza umana: un ciclo naturale certo, sicuro e democratico come la morte: prima o poi, arriva per tutti.
SCIENTIFICITÀ: UNA NECESSITÀ INELUTTABILE O UNA “FORTUITA” POSSIBILITÀ OPINABILE?
Riflettendoci bene ci si può facilmente accorgere di come il pensiero scientifico autentico sia molto più flessibile di quello che appare alla massa comune: un pensiero aperto ad ogni possibilità, al dubbio, al dotto confronto e alle ipotesi; inquinato soltanto dalla paura umana del nuovo, dalla vanità e dall’avidità. Condizioni umane che, sulla base di come funziona oggi la società, personalmente posso comprendere ed entro certi limiti anche giustificare, ma di certo non posso accettare.
Checché se ne dica, la scienza è democratica! Non lo è quando perde di vista il suo contesto autentico, quando si impantana con la politica e gli interessi economici. Inutile giustificarsi, entro i suoi ambiti di competenze la scienza è democratica, se non lo fosse come saremmo arrivati ai risultati scientifici su cui si basano le ricerche e i progressi di oggi? Lo so, non è così semplice, ma almeno provate a rifletterci seriamente.
A conclusione della mia lunga riflessione desidero chiudere con alcune domande: è proprio necessario che una disciplina della conoscenza umana debba rientrare a pieno titolo nella rosa ortodossa della scienza? La kinesiologia insieme a tutti i suoi orientamenti metodologici, deve per forza essere scientifica nel senso stretto e ortodosso del temine? Nella società liquida di oggi è ancora così utile e necessario l’avvallo delle autorità, non solo scientifiche, per ufficializzare l’indiscussa utilità di discipline “nuove” della conoscenza umana? Oppure tale machiavellico avvallo, spesso giustificato in nome della tutela dei cittadini, persegue interessi diversi dalla tutela collettiva? Tali interrogativi sono necessari per focalizzare un aspetto molto importante: il rischio che una conoscenza/disciplina umana, rivolta al benessere dell’individuo, per essere riconosciuta come scienza snaturi se stessa e la sua efficacia empirica. Rinunciando alla sua autenticità per fregiarsi di un titolo di “scientificità” o “riconoscimento” in nome di interessi politico-amministrativi, dell’efficienza e dell’esattezza: aspetti che per certi versi possono apparire utili ma che troppo spesso si rivelano ostacoli, ponendo condizioni inapplicabili sul piano operativo dell’esperienza e inappropriati per il lavoro sul campo della vita vissuta; soprattutto se riferiti a discipline, come le arti kinesiologiche applicate, basate sullo studio e l’osservazione dei fattori costitutivi unitari dell’Uomo, inerenti alla sua dimensione soggettività e percettiva. Condizioni costitutive centrali della natura umana, affine più all’armonia che all’esattezza.
In definitiva, con i presupposti “offerti” dell’attuale paradigma scientifico, le arti kinesiologiche applicate per essere accettate come scienza rischiano di dover snaturare il loro punto di forza: la relazione intersoggettiva con l’altro e con la sua mutevole soggettività, unica e irripetibile. Tuttavia, il percorso di riconoscimento scientifico può apportare utili vantaggi a questo affascinante ambito del sapere, a patto di distinguere adeguatamente i contesti sperimentali da quelli esperienziali e “clinici, tenendo le questioni di interesse politico/economico al loro posto, evitando l’eccessiva influenza e l’ipocrisia che spesso muove questi apparati. Utopia? Forse. Ma senza il pensiero utopico dove andremo a finire?
Com’è già avvenuto, per esempio nelle scienze psicologiche, in cui gli ambiti sperimentali hanno preso strade differenti da quelli clinici pur restando – apparentemente – in reciproco “accordo”; l’anzianità di questo ambito del sapere umano ha favorito molto il suo inserimento nella rosa delle discipline scientifiche: infondo la psicologia nasce dalla filosofia, la disciplina più antica della conoscenza Umana e madre indiscussa di tutte le scienze.
Ma lo scenario socio-politico attuale, in cui si sono sviluppate discipline come le arti kinesiologiche applicate, osteopatia e tante altre discipline ad orientamento olistico è molto diverso da quello agli albori della psicologia. Pertanto, tale contesto, necessita di un’analisi più profonda degli accenni fatti in questo articolo: un’analisi di cui il filo rosso conduttore dovrebbe essere costituito, a mio avviso, dall’etica, dalla dotta apertura al dialogo e dal coraggio di andare oltre le conoscenze/credenze già note, sia quelle collettive che personali.
Per finire: se per essere riconosciuta come scienza, la kinesiologia, verrà costretta a semplificare, ridurre o peggio snaturare le proprie metodologie anziché arricchirle, allora a mio avviso è meglio declinare e rimanere ancora per un po’ nell’ambito prescientifico. Continuando come disciplina olistica del benessere, come arte dell’interazione espressiva con la corporeità; come dialogo percettivo e intersoggettivo con il corpo vissuto, vitale e vivente.
Un continente vasto come le arti kinesiologiche applicate necessita di essere considerato in questo senso: numerosi orientamenti accomunati da un unica prospettiva, il corpo come unità percettiva di espressione e movimento; dove convergono numerose discipline scientifiche: naturali, umane e “oltreumane”.
Per approfondire puoi leggere anche:
Articolo di:
Fabio Valenzisi
Bibliografia essenziale:
– D. Gillies – G. Giorello; La filosofia della scienza (2005); Ed. Laterza.
– M. M. Ponty, “Fenomenologia della percezione” (1945-2003); Ed. Bompiani.
– E. Husserl “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale” (1954); Ed. Il Saggiatore.
Le informazioni contenute in questo post non sono indicazioni o prescrizioni mediche, hanno il solo scopo di informare. Al fine di agire nel rispetto del proprio corpo e bene farsi seguire da operatori del benessere accreditati e consultare sempre il proprio medico.
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