
Quando e perché scatta il click che trasforma l’amore in odio? Quando e perché inizia la guerra dei Roses?
Negli ultimi giorni si sono concentrate su di me questioni relative ai rapporti sentimentali tra coppie di amici e conoscenti con una frequenza assai maggiore che in passato; ho riflettuto un po’ sull’argomento ed ho deciso che scrivere un articolo su questo tema poteva essere interessante. Quando ho dovuto scegliere il titolo ho trovato il filo conduttore con i miei articoli precedenti: “La paura soffoca la libertà” e “La morte nel transumanesimo”.
Amore e possesso stanno a libertà e paura? Secondo me sì; ma andiamo con ordine.
Oliver e Barbara si innamorano al primo sguardo, si sposano e hanno due figli: Josh e Carolyn. Oliver Roses fa carriera come avvocato; la loro vita è perfetta e felice, oltre che ricca; ma dopo tanti anni insieme i rapporti tra i due iniziano ad incrinarsi, Barbara non sembra sopportare più il carattere del marito e vuole separarsi perché, dopo un presunto infarto di questi, si è accorta che la possibilità di restare vedova non le dispiaceva affatto, in quanto il marito – che le ha dato tutto ciò che una donna può desiderare – tutto preso dalla propria carriera non ha mai tenuto conto della sua individualità. Oliver reagisce male a questa notizia e ne nasce una lite; Barbara lo colpisce con un pugno in faccia e dichiara di volere a tutti i costi la casa. Inizia così una guerra accanita in quanto né l’uno né l’altra vogliono lasciare la villa in cui hanno vissuto. Costretti a vivere da separati in casa iniziano a farsi ripicche, rivalse e cattiverie in un turbine di porcellane preziose che volano per casa, così che i reciproci e perfidi dispetti determinano la totale devastazione della loro splendida villa. Una sera, dopo una cena finita male, i due, lottando, sfondano il parapetto del piano superiore e Barbara si aggrappa a un lampadario che regge il suo peso; Oliver la raggiunge, il lampadario inizia a cedere e alla fine crolla: i due vengono ritrovati morti dalla governante e da un amico.
A New York invece, Ted Kramer è sposato con Joanna ed hanno Billy un bambino di sei anni. Una sera Ted si trattiene al lavoro fino a tardi perché ha appena ottenuto un nuovo incarico di lavoro e la promessa di una promozione. Quando torna a casa è desideroso di condividere la sua gioia con la moglie ma viene subito bloccato da Joanna che gli dice che quella vita non le basta più e che sta andando via da casa. Joanna è una donna fortemente in crisi con se stessa e ha deciso di allontanarsi dalle sue responsabilità di moglie e di madre per ritrovarsi, anche se questo significa lasciare Billy da solo con Ted che si ritrova a fare il papà a tempo pieno. Nonostante abbia cercato di conciliare lavoro e famiglia come non mai, Ted viene licenziato, ma non ne fa un dramma e vede la cosa come l’occasione di poter dedicare più attenzioni al figlio. Dopo quindici mesi Joanna torna a New York; racconta che finalmente ha ritrovato la sua identità e ora è intenzionata a riprendersi Billy ma Ted non è d’accordo. Ne scaturisce una durissima battaglia in tribunale, durante la quale Ted e Joanna cercano di ottenere la custodia legale del piccolo Billy.
AMORE E POSSESSO: DAL FILM ALLA REALTÀ
Certo, sono le trame di due film famosi ma è quasi sempre così che vanno le cose nella vita reale. Si, perché dietro la parola “amore” si celano tanti e diversi sentimenti, emozioni ed… equivoci sul suo significato. È così che dopo anni di parole sdolcinate, cene al lume di candela, dichiarazioni di amore eterno, da un momento all’altro, si passa ai servizi di piatti che volano per la stanza.
Tutto ciò che c’è stato prima viene di colpo cancellato, dimenticato, sepolto; ma è possibile? È possibile che l’amore si trasformi? Che si trasformi in odio, rancore, rabbia? No, non lo è. Semplicemente perché tutto quello che c’è stato prima non era amore.
Probabilmente, però, l’equivoco ha radici lontane, infatti pare che l’etimologia della parola amore si possa far risalire al termine sanscrito kama che significa desiderio, passione, attrazione. Anche il verbo amare deriva dalla radice indoeuropea ka da cui (k)amare cioè desiderare, soprattutto sessualmente, in maniera viscerale, integrale, totale. Igor Sibaldi sul punto è chiaro: se vuoi parlare dei tuoi sentimenti all’altra persona meglio esprimersi con un “ti voglio bene”. Lo so, sembra meno di “ti amo”, ma spiega più precisamente il sentimento aulico. Sibaldi ricorda come anche che le canzoni melodiche questa differenza l’hanno colta pienamente; in nessuna di esse si canta “ti amo assai” ma “te vooogliooo bbene assssaiiiii…”. Ma per semplicità continuiamo ad utilizzare il termine amore.
E, dunque, l’amore è condivisione, confronto, rispetto; amare significa riconoscere l’individualità dell’altro, significa volere la felicità dell’altra persona senza se e senza ma. Salvatore Brizzi dice una cosa piuttosto forte, che condivido pienamente. Se il tuo partner ti lascia perché si è innamorato di un’altra persona – se il tuo sentimento è amore, vero – allora tu sei felice, perché il tuo partner è più felice con questa nuova persona piuttosto che con te. Non sono pazzo, né io né Brizzi, semplicemente significa considerare l’amore per ciò che è realmente, fuori dagli schemi nei quali ci hanno imbrigliato. L’amore “a gettone”, quello che dice “ti amo se tu ami me”, “ti amo finché tu mi ami”, non è amore; è certamente qualcos’altro, ma non è amore.
Amare significa lasciare l’altro libero di amarci ed essere amato, libero di essere se stesso nella relazione di coppia ma anche al di fuori di essa, stargli accanto e sostenerlo, lasciando che realizzi se stesso e i suoi sogni. Ecco perché l’amore è correlato alla libertà.
Ma perché il possesso è correlato alla paura?
LA CONSEGUENZA DI UNA FERITA: PAURA E POSSESSO
La necessità di possesso affonda le sue radici nel rapporto che la persona ha avuto con le figure di attaccamento in età infantile. L’attaccamento vissuto in modo squilibrato nell’infanzia prosegue in età adulta.
È questo l’aspetto più interessante dal mio punto di vista, quello psicologico, che voglio approfondire attraverso il lavoro di Lise Bourbeau che nel 2000 ha pubblicato il libro, tradotto nel 2002 in italiano, Le 5 ferite e come guarirle.
Secondo l’autrice la ferita interiore è paragonabile ad una ferita fisica non curata; immaginiamo, come suggerisce Lise di avere una ferita sulla mano che continuiamo ad ignorare e che abbiamo trascurato di medicare, limitandoci a coprirla con un cerotto pur non vederla, facendo finta di non essere feriti.
Lise Bourbeau ha catalogato cinque ferite e ad esse ha abbinato una cosiddetta maschera, cioè una specifica modalità di protezione rispetto alla ferita. Per quanto di nostro interesse in questo articolo farò riferimento solo alla ferita del “tradimento”, la cui maschera è detta del “controllore”.
La ferita del tradimento viene vissuta con il genitore del sesso opposto ed è per questo legata al famoso complesso di Edipo: l’innamoramento del bambino al genitore di sesso opposto al suo, o della persona che svolge questo ruolo, quando l’energia sessuale inizia a svilupparsi (per le bambine di parla del complesso di Elettra). I bambini fanno il possibile per ottenere l’affetto del genitore di sesso opposto, cercano anche di proteggerlo, anche se sono delusi perché non ricevono l’attenzione desiderata. Il bambino si sente tradito ogni volta che questi non mantiene una promessa o quando tradisce la sua fiducia, in base alle aspettative del “genitore ideale” che il bambino si crea nell’immaginazione. Vive il tradimento soprattutto nella sua connessione amorosa o sessuale. Lo stesso accade anche quando il bambino sente che il genitore del suo stesso sesso si sente tradito dall’altro genitore. Il piccolo recepisce quel tradimento come se accadesse a lui, personalmente.
La maschera utilizzata per proteggersi da questa ferita è quella del controllore e la utilizza in particolar modo per accertarsi che gli altri mantengano i loro impegni. Infatti, il “controllore”, tende ad avere molte aspettative negli altri, perché desidera poter prevedere tutto, in modo da tenere le cose sotto controllo, allo scopo di verificare se gli altri fanno quello che devono fare, se può fidarsi di loro e, quando le cose non vanno secondo le sue aspettative è facile che diventi aggressivo, anche se non si vede come una persona aggressiva. È il tipo di persona che vive con maggiori difficoltà una separazione all’interno della coppia, perché sarebbe una sconfitta. Ecco perché l’emozione di base che governa il suo agire possessivo è la paura: paura di non poter “avere” l’altro, di perdere il ruolo di protagonista nella vita dell’altro, di non vedere soddisfatti i propri bisogni.
Le relazioni con un partner possessivo possono diventare molto pericolose (e le cronache giudiziarie lo testimoniano) perché non sono basate sull’amore – sul voler bene o, meglio, sul volere il bene dell’altro – ma sulla paura del “controllore” di subire, ancora una volta, il tradimento di cui è stato vittima quando era bambino. Sono relazioni tossiche dalle quali si deve uscire il prima possibile, già dalle prime avvisaglie, costituite dal controllo sempre più ossessivo delle amicizie e dei social, del cellulare e delle mail, dell’abbigliamento e dell’alimentazione; evitando (specie per le donne) l’atteggiamento della crocerossina o credere di poter cambiare l’altro. Serve ben altro, purtroppo.
Articolo di:
Roberto Piscitelli
Bibliografia essenziale:
– L. Bourbeau, “Le 5 ferite e come guarirle”; Ed. Amrita.
– I. Sibaldi, “Eros e amore”; Ed. Sperling & Kupfer.
– S. Brizzi, “Officina Alkemica”; Anima edizioni.
Le informazioni contenute in questo post non sono indicazioni o prescrizioni mediche, hanno il solo scopo di informare. Al fine di agire nel rispetto del proprio corpo e bene farsi seguire da operatori del benessere accreditati e consultare sempre il proprio medico.
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