
Nel mio primo articolo “La morte nel transumanesimo“, inizio della collaborazione col Blog NovaTherapy, ho affrontato il tema della paura in modo quasi celato; nascosto dietro la morte e le perplessità di questo transumanesimo tecnocratico che sta prendendo piede da qualche anno, oramai. Oggi prendo il coraggio per affrontarla di petto, la paura.
I PIANI CONTRAPPOSTI DI LIBERTÀ E PAURA
La paura è tra le esperienze emotive che la psicologia annovera tra quelle definite primarie – paura, rabbia, disprezzo, disgusto, tristezza, sorpresa e gioia – e sono tanti gli studi che ne hanno evidenziato la presenza sin dalla primissima infanzia ed in tutte le popolazioni mondiali – esemplari sono quelli di Paul Ekman e Robert Plutchik –. Sono emozioni innate e, come per gli aspetti fisiologici, hanno essenzialmente finalità evolutivo-adattive. Come per il metabolismo o lo sviluppo del cervello, di determinati muscoli o sensi, anche le emozioni sono “elementi” utili alla sopravvivenza dell’Essere Umano; anch’esse ci hanno permesso di giungere al 2022.
Tant’è vero che anche Darwin, nell’opera “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, si era occupato delle emozioni che riteneva rivestissero un ruolo importante dal punto di vista evoluzionistico.
Ma cos’è ciò che chiamiamo paura? Secondo la psicologia si tratta di uno stato emotivo di eccitazione abbinato alla personale valutazione cognitiva di un evento od oggetto percepito come minaccioso; tale stato è provocato cioè da una situazione di pericolo che può essere reale, anticipata dalla previsione oppure rievocata dal ricordo o determinata dalla fantasia. Si tratta, pertanto, di un’esperienza soggettiva che crea un senso di insicurezza, di spiacevolezza, di smarrimento e di ansia di fronte ad un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cose o a fatti che siano, o si ritenga che siano, dannosi per la propria incolumità o per la propria vita e, quindi, da un intenso desiderio di evitamento nei confronti di un oggetto o situazione giudicata pericolosa.
Questa focalizzazione non riguarda solo il campo percettivo esterno ma anche quello interiore dei pensieri che risultano statici, pervasivi e perseveranti. Una paura immaginaria o oggettivamente irrazionale, dal punto di vista della persona che la prova, soggettivamente, è spaventosa esattamente quanto una reale. Il fatto che accada solo nella mente non ne diminuisce gli effetti sul piano reale, anzi. Le conseguenze di una paura patologica, di una fobia o dell’attacco di panico, sono molto concreti.
La paura può creare modificazioni comportamentali permanenti quando non è più scatenata dalla percezione di un reale pericolo ma dal timore che si possano verificare situazioni, apparentemente normali, ma vissute dalla persona con particolare disagio. Essa, quindi, perde la propria funzione legata alla conservazione della specie e diventa espressione di uno stato mentale. Ansia, depressione, panico fanno allora la loro comparsa, a segnare una vita vissuta tutta nella paura.
Pertanto, in termini psico-biologici la paura è fondamentale. Si tratta di un sistema adattivo che modula il rapporto tra l’organismo e l’ambiente, finalizzato alla sopravvivenza dell’individuo e della specie.
Ma vi è di più in questa emozione; essa costituisce il substrato di tutte le altre emozioni che, per semplicità e convenzione, sono definite tout court negative benché nessuna esperienza emotiva sia di per sé positiva o negativa.
E dunque, se riflettiamo un attimo sulle caratteristiche della rabbia, del disgusto, del disprezzo e della tristezza, notiamo che hanno un elemento in comune: c’è il seme della paura in esse; paura dell’ostacolo che si frappone tra noi ed i nostri bisogni nella rabbia, la paura che ciò che ci disgusta ci faccia del male, la paura di essere come colui che disprezziamo, la paura della solitudine quando siamo tristi. Comprendere la paura ci aiuta a far luce anche sulle altre emozioni – delle quali magari parleremo in un prossimo articolo.
Di cosa abbiamo davvero paura? Di ciò che non riusciamo a comprendere e controllare. E cosa facciamo? Corriamo a nasconderci, ci immobilizziamo. L’altra alternativa è la lotta, o quantomeno, prepararsi ad essa (le modificazioni psico-fisiche si sono evolute anche per questa ipotesi). Infatti, tutte le manifestazioni psico-corporee della paura (tachicardia, vasocostrizione, sudore freddo, tremore muscolare con il corpo che, in generale, assume una posizione di difesa) hanno la funzione positiva di segnalare uno stato di emergenza ed allarme, preparando la mente e il corpo alla reazione.
Benché tutto ciò sia molto interessante e certamente da approfondire, oggi vorrei portare una riflessione diversa, incentrata su altri aspetti riguardanti questa emozione. La paura, oltre che essere innata è anche appresa o indotta. Il meccanismo responsabile di dell’acquisizione delle paure apprese è il condizionamento.
IL CONDIZIONAMENTO DELLA PAURA
Il punto è: sappiamo distinguere le paure ancestrali da quelle indotte? Quali sono i meccanismi alla base di queste ultime, cosa provocano? Alcuni ingredienti della paura indotta sono la previsione, una proiezione del futuro, riguardante dolore, danno e morte. Anche se un qualsiasi evento accade dall’altra parte del mondo, anche se ipotetico o del tutto basato sulla fantasia. Si tratta della suggestione creata da uomini nella mente di altri uomini, in definitiva per ottenerne il controllo attraverso la paura, che rappresenta il principale trigger utilizzato a tale scopo.
Non solo le paure innate possono essere strumentalizzate da parte del potere, e sul punto esiste un’ampia cultura “apocalittica” che ha sempre teso, attraverso modalità storicamente diverse, ad affermare un dominio dell’uomo sull’uomo. A indicare che per alcuni esistevano dei limiti che non era lecito oltrepassare senza incorrere in terribili conseguenze. Ma possono essere create paure, quelle apprese o meglio indotte, anch’esse strumentali al potere.
Coloro che hanno compreso lo sconquasso provocato da questa emozione, non solo sul piano psichico, ne hanno fatto tesoro per le proprie trame di potere. La storia – che in questo ha il proprio senso più nobile – ci rammenta come basti semplicemente evocare un pericolo e presentare una soluzione affinché l’uomo si assoggetti docilmente al novello salvatore.
Pare quasi che la specie umana non riesca a costituire una comunità senza fondarla sulla paura. In particolare la religione e la politica basano il proprio potere sull’insicurezza e sulla paura.
È possibile che la mente sia sostanzialmente un meccanismo fondato sulla paura, quella primordiale e che tutti gli sviluppi successivi, messi a punto dalle religioni ed in genere dalla spiritualità, dalla politica con le sue decisioni sulla sicurezza, piuttosto che dalla filosofia, siano semplicemente tentativi, ben camuffati, di fuggire da essa. Grazie alla paura della morte, dell’inferno, dell’ignoto sono stati creati gli dei e una pletora di teologie, di pratiche religiose e sacerdoti che hanno offerto le soluzioni per sconfiggerle.
Per la paura indotta dell’uomo “nero” sono state combattute guerre e commesse atrocità.
Oggi anche la natura ci fa paura e il futuro, privo di prospettive chiare, le fa compagnia.
Cosa desidera l’uomo? La vita eterna? Eccola! La felicità? È qui! La libertà? No, questa no; ha bisogno di coraggio piuttosto; una tra le massime aspirazioni dell’uomo è anche foriera di guai, perché l’essere liberi ci rende vulnerabili e indifesi. Libertà e paura vanno di pari passo, ma su piani contrapposti che non si incontrano mai: dove c’è l’una manca l’altra, un po’ come il buio e la luce.
Ebbene, dalla ricerca del bene comune siamo passati alla limitazione del male, attraverso la limitazione della libertà. La paura che gli uomini mostrano verso se stessi e i propri simili ha ridotto il loro spazio di azione. E, quasi senza accorgerci di ciò che ci accade, anche alimentata dai media, la paura condiziona e determina lo strutturarsi non solo del nostro modo di pensare noi stessi, ma anche delle relazioni, della società, del tempo e dell’ignoto.
Il filosofo norvegese Lars Svendsen, in un passo del libro “La filosofia della paura”, ci segnala con lucidità di visione che: “la paura è capace di disgregare la fiducia, spezzando i legami di solidarietà sociale e incrinando l’amore per l’alterità e per le diversità, in generale”. Ora ti chiedo: quanto è attuale questa riflessione?
Ed ancora, da quanto tempo non abbracci davvero un altro Essere Umano, con quanta cautela gli tocchi la mano, da quanto non godi di un sorriso sincero o di parole distensive? Quante possibilità hai perso?
Lars Svendsen, in questo scritto, indaga appunto su come la società della paura abbia contribuito alla perdita delle condizioni di possibilità dell’uomo; proprio come sosteneva Martin Heidegger: “Nella paura si perdono dunque, di vista, le proprie possibilità”. E, rimanendo nell’attualità, egli dice che: “la stessa tecnologia medica che ci guarisce ci rende più ansiosi.”
Svendsen prospetta un futuro più vivibile solo attraverso il recupero di alcuni valori come l’ottimismo e la fiducia nelle capacità dell’uomo di risolvere i problemi, di migliorare se stesso e la società in cui vorrebbe vivere. Sta in ciascuno innanzitutto la responsabilità del miglioramento personale che possa espandersi nella società, come diceva Mahatma Gandhi “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” esortando appunto il singolo individuo ad allargare la propria prospettiva verso obiettivi e possibilità di cambiamento che riguardano la collettività, con azioni mirate ad un cambiamento della coscienza collettiva affinché i bisogni, i desideri ed i sogni dei singoli facciano parte di un’azione comune di sviluppo. Significa emanciparsi dalla paura indotta, ritrovando in se stessi le capacità per donarsi quelle possibilità sottratte dai condizionamenti ansiogeni.
Perché è un fatto, chi controlla la paura degli uomini, controlla gli uomini che hanno paura. L’uomo non è potente se possiede enormi ricchezze, ma se ha la capacità di rassicurare e difendere da ciò che fa paura. Ma l’uomo veramente potente è colui che la paura la sa evocare, chi sa come produrre timore, terrore e spavento dove tutto è tranquillo, sottraendo spazio alla libertà individuale e sociale per proporre o imporre precisi comportamenti. Il potere è proprio questo, è l’abilità di orientare o influenzare il comportamento altrui o il corso degli eventi. Il potere, che Guglielmo Ferrero definisce “il segreto più oscuro e profondo della storia”, è la manifestazione suprema della paura che l’uomo incute a se stesso, malgrado i suoi sforzi per liberarsene.
È un fatto: la nostra società, oggi più di ogni altro periodo storico, è nella misera condizione di perdita, che sia totale o parziale, della libertà per l’ossessione di sentirsi al sicuro; e se l’ossessione del rischio e la troppa protezione fossero un pericolo maggiore di tutti i rischi messi insieme? Molto spesso sono gli stessi uomini a chiedere a gran voce forme di controllo sempre più sofisticate pur di sentirsi “al sicuro”. Ma al sicuro da cosa?
Articolo di:
Roberto Piscitelli
Bibliografia essenziale
– Lars Svendsen, “La filosofia della paura”; Edizioni Castelvecchi.
– Anna Oliverio Ferraris, “Psicologia della paura”; Bollati Boringhieri.
Le informazioni contenute in questo post non sono indicazioni o prescrizioni mediche, hanno il solo scopo di informare. Al fine di agire nel rispetto del proprio corpo e bene farsi seguire da operatori del benessere accreditati e consultare sempre il proprio medico.
Se desideri essere messo in contatto con un medico specializzato in medicina integrata e olistica, uno dei nostri kinesiologi o direttamente con l’autore contattaci, saremo lieti di consigliarti gratuitamente sui professionisti della nostra rete di contatti.
Correlati