
Obbedienza all’autorità: fino a che punto è giusto obbedire? Attualmente questa domanda si rivela più che legittima e probabilmente i tentativi di risposta possono generare atteggiamenti contrapposti, i quali avranno di sicuro ragionevoli giustificazioni su ogni fronte. Ecco che chi sostiene l’assoluta legittimità dell’obbedienza sempre e comunque, avrà logiche ragioni a cui attribuirà valore assoluto; d’altro canto, chi relativizza la legittimità dell’obbedienza avrà opposte ma valide ragioni cui tenderà a generalizzarne il senso in modo altrettanto assoluto. Anche il perfetto “anarchico” è in grado di giustificare le sue posizioni con argomentazioni logiche e ragionevoli, per quanto possano apparire estreme. Ciò conferma un fatto: ognuno possiede le proprie idee e punti vista sulla realtà. Ma cosa succede quando esperimenti scientifici mettono in evidenza fatti sconcertanti sulla natura umana, mettendo in dubbio le nostre credenze sulla bontà di certi comportamenti? E, in relazione al nostro tema, evidenziando condizioni preoccupanti rispetto all’obbedienza come comportamento socialmente utile?
È il caso degli esperimenti condotti da Stanley Milgram all’inizio degli anni 60’ del secolo scorso, i cui risvolti impongono la necessità di meditare serie riflessioni in merito alle possibili risposte al nostro interrogativo iniziale. Come vedremo, dai risultati degli esperimenti sviluppati dallo psicologo Milgram, la legittimità unanime dell’obbedienza non è così scontata: il senso dell’obbedire a una figura autoritaria, qualunque essa sia, non ha nulla a che vedere con l’essere buoni e bravi: l’obbediente può nuocere al prossimo con le stesse probabilità di chi disobbedisce a certe regole sociali o leggi.
Come vedremo dai risultati ottenuti da Milgram, l’obbedienza è un comportamento da contestualizzare, cui è necessario porre seria attenzione e consapevolezza, come accade per qualsiasi altro tipo di libera condotta sociale.
OBBEDIENZA ALL’AUTORITÀ: L’ESPERIMENTO MILGRAM
Stanley Milgram, nel 1961, lavora alla Yale University. Le sue riflessioni sul tema dell’obbedienza sono influenzate dagli avvenimenti della Seconda guerra mondiale, relativi alla diffusione dell’ideologia nazista che ha portato migliaia di persone ad eseguire azioni inenarrabili per la volontà di un piccolo cerchio ideologico ristretto, guidato da un solo uomo. Nel 1933, l’obbedienza all’autorità nazista ha causato l’uccisione di 45 milioni di persone; senza contare le ulteriori atrocità commesse in nome di questa ideologia, sempre eseguite da persone obbedienti, ai danni di altre persone.
Le riflessioni di Milgram hanno messo in luce come l’obbedienza possa indurre le persone a mettere in atto particolari comportamenti, anche in contrasto alle convinzioni etiche e morali relative a sentimenti di fratellanza, solidarietà e amicizia verso il prossimo. Sentimenti a cui “tutti” piace pensare di esserne portatori in prima persona: a chi non piace pensarsi come persona capace di essere fraterna, solidale e amica del prossimo? E, a chi non piace pensare di dare un immagine di sé benevola, e di essere visto così dagli altri, come “brava” persona buona, disponibile, comprensiva? In fondo siamo tutti buoni, entro certe condizioni. Al lettore facilmente impressionabile, suggerisco di proseguire la lettura mettendo fra parentesi ogni preconcetto e giudizio, verso gli altri e verso di sé. Al fine di analizzare questi fatti in modo obiettivo, cogliendone l’utilità implicita per l’ampliamento della propria coscienza di Essere Umano.
In particolare, Milgram, fu colpito dalla vicenda di Adolf Eichmann, l’ufficiale nazista più direttamente responsabile dell’organizzazione operativa della “soluzione finale” comandata da Hitler: durante il processo, Eichmann come altri criminali guerra, spiegò in sua difesa che fece quel che fece perché aveva ricevuto gli ordini di farlo: stava semplicemente obbedendo agli ordini.
Da queste vicende Milgram raccolse tutti gli elementi per realizzare una serie di esperimenti – fra il 1961 e il 1962 -, allo scopo di mostrare come le persone subiscano un processo di socializzazione che le porta a rispettare l’autorità dello stato.
L’obbedienza può indurre nelle persone lo stato di agente, uno stato d’animo descritto da Milgram per definire l’obbedienza incondizionata, in cui le persone, in qualità di agenti, trasferiscono le proprie responsabilità a chi impartisce gli ordini, assolvendo sé stesse verso le conseguenze delle proprie azioni.
I partecipanti agli esperimenti di Milgram furono reclutati attraverso un annuncio giornalistico, in cui si invitavano le persone a partecipare a uno studio sull’effetto delle punizioni sull’apprendimento umano, sotto la supervisione di un laboratorio di ricerca dell’Università di Yale. Le persone si presentarono a coppie e tramite un’estrazione casuale veniva assegnato loro un ruolo: uno impersonava “l’allievo” e l’altro “l’insegnate”.
Insieme allo sperimentatore c’era un insegnante (il vero partecipante dell’esperimento) e un allievo (in realtà un collaboratore dell’esperimento).
Il ruolo dell’allievo consisteva nell’apprendere una lista di coppie di parole, quello dell’insegnante nell’infliggere una scossa ogni volta che l’allievo realizzava un’associazione errata. L’insegnante assisteva mentre l’allievo veniva legato a una sedia con delle cinghie e spalmato sulle braccia con un gel sopra il quale applicavano degli elettrodi; mentre avveniva ciò, l’insegnante, sentiva lo sperimentatore spiegare all’allievo che lo scopo del gel era quello di prevenire vesciche e scottature e l’allievo dire allo sperimentatore che soffriva di un leggero disturbo cardiaco. Lo sperimentatore rassicurava spiegando che, sebbene le scosse potessero essere dolorose, non avrebbero causato danni permanenti.
L’insegnante era poi condotto in una stanza separata dov’era collocato un generatore di corrente elettrica. La potenza del generatore andava dai 15 ai 450 Volt e la scala di voltaggio era ben visibile al soggetto col ruolo di insegnante. Essa infatti aveva differenti etichette descrittive relative all’intensità della scossa: leggera, moderata, forte, molto forte, intensa, di estrema intensità, grave, inclusa l’ultima terribilmente evocativa di “XXX”, attaccata ai valori di voltaggio con intensità più alta.
Dopo aver preso posizione davanti al generatore, all’insegnante veniva richiesto di infliggere scosse elettriche di intensità crescente ogni volta che l’allievo (ricordiamo, complice dello sperimentatore) sbagliava una risposta: 15 volt per il primo errore, 30 per il secondo, 45 per il terzo e così via. Prima di cominciare all’insegnate veniva inflitta una scossa d’esempio dell’intensità di 45 V; subito dopo cominciava l’esperimento.
L’allievo faceva alcune associazioni corrette ma altre errate e ben presto l’insegnate azionava la leva del generatore corrispondente a 75 V, livello al quale l’allievo si lamentava del dolore a bassa voce.
A 120 V l’allievo gridava allo sperimentatore che la corrente elettrica stava diventando molto dolorosa.
A 150 V l’allievo, o per meglio dire la “vittima”, pretendeva di concludere l’esperimento e di essere liberato e a 180 V gridava di non poter sopportare oltre. La vittima continuava a urlare di dolore a ogni ulteriore scossa, fino al grido disperato emesso a 250 V.
A 300 V l’allievo non eseguiva più il compito di associazioni verbali, non parlava e non rispondeva più: all’insegnante veniva detto di agire come se fosse stata fornita una risposta errata.
Per tutta la durata dell’esperimento, l’insegnante si mostrava teso e agitato e chiedeva spesso di interrompere l’esperimento. A tali richieste, lo sperimentatore rispondeva con una serie ordinata di risposte, che variavano da un gentile “per favore continui”, a “l’esperimento richiede che lei continui”, a “è assolutamente necessario che lei continui”, fino al definitivo “non ha scelta: deve continuare!”.
A un gruppo di centodieci esperti del comportamento umano, tra cui trentanove psichiatri, fu chiesto di prevedere quanto in là un essere umano normale e psicologicamente equilibrato avrebbe potuto spingersi in questo esperimento. Gli esperti ritenevano che solo il 10% circa avrebbe superato i 180 Volt e che nessuno avrebbe obbedito fino alla fine.
In una variante dell’esperimento appena descritto, in cui la vittima non poteva essere né vista né sentita, ma batteva sulla parete quando si raggiungevano le intensità corrispondenti a 310 V e 315 V, per poi ammutolire, quasi tutti continuarono fino a 255 V e il 65% fino alla fine, infliggendo così scariche elettriche intense a una persona che non rispondeva e che aveva preventivamente affermato di essere affetta da un disturbo cardiaco.
A partecipare all’esperimento erano persone del tutto normali: quaranta uomini dai venti ai cinquant’anni che svolgevano attività diverse. Anche se questi non lo sapevano, l’intero esperimento si basava su un complesso inganno, cosicché essi svolgevano sempre il ruolo dell’insegnante, mentre quello di allievo /vittima era in realtà svolto sempre da un collaboratore (un uomo di mezza età dall’aspetto paterno), che veniva istruito con accuratezza su come agire. Tranne la scossa di esempio di 45 V indirizzata all’insegnante, nessun’altra scossa elettrica veniva in realtà inflitta.
Breve video documento dell’esperimento Milgram
I RISULTATI DELL’ESPERIMENTO MILGRAM SULL’OBBEDIENZA ALL’AUTORITÀ
Secondo la previsione degli “esperti” del comportamento umano, pochissime persone normali e psicologicamente equilibrate, avrebbero obbedito nell’esperimento Milgram all’ordine di infliggere una scossa elettrica più “forte” all’allievo incompetente: in realtà il 65% delle persone fu obbediente fino in fondo andando oltre la zona di “Pericolo: scossa grave”, la zona etichettata come “XXX”.
Stanley Milgram condusse diciotto esperimenti sull’obbedienza per isolare i vari fattori che contribuivano al fenomeno. Tranne che in un caso, i partecipanti erano individui di sesso maschile tra i venti e i cinquant’anni, non studenti, che svolgevano differenti attività lavorative e appartenevano a differenti livelli socioeconomici. In una variante dello studio scientifico i partecipanti erano donne: si dimostrarono disposte a punire l’errore di un allievo tanto quanto gli uomini.
L’esperimento Milgram è stato replicato in Italia, Germania, Australia, Gran Bretagna, Giordania, Paesi Bassi e Austria da Smith, Bond e Kağitçbaşi nel 2006. Il grado di obbedienza totale varia da più del 90% tra spagnoli e olandesi, a più dell’80% tra italiani, tedeschi e austriaci, fino a meno del 40% tra gli australiani.
Una spiegazione del perché le persone continuino a infliggere scosse elettriche può essere data dal fatto che l’esperimento inizia in modo apparentemente innocuo, con scosse di poco conto trascurabili. Una volta che gli individui si sono coinvolti nell’azione dell’esperimento, dal momento che hanno iniziato a infliggere scariche elettriche, possono trovare difficile cambiare idea in seguito.
Dall’osservazione dei dati acquisiti da Milgram si evidenzia come un fattore importante dell’obbedienza sia la contiguità della vittima: la vicinanza o l’esplicita presenza della vittima rispetto al partecipante. Milgram variò il livello di contiguità nei diversi esperimenti. Come abbiamo accennato sopra il 65% delle persone “infliggeva scosse elettriche fino al limite” dei 450 V nei casi in cui la vittima non si vedeva ne sentiva, escludendo i colpi battuti alla parete. In una condizione di ancora minore contiguità, dove la vittima non era né vista né sentita, ad arrivare fino in fondo fu il 100% delle persone. Tale scenario dovrebbe far riflettere sulle strategie, non solo militari, di gestione da remoto di certe situazioni amministrative dove i soggetti attori della situazione sono nettamente divisi dagli apparati tecnologici. Riflettendo su questo aspetto è possibile comprendere quanto sia alto il rischio del progressivo distanziamento – tecnico – fra le persone, dalle situazioni più drammatiche per arrivare, non certo senza attenuanti contestuali, alle situazioni di ordinaria amministrazione. Infatti con l’aumentare della vicinanza fra l’insegnate e l’allievo, osserva Milgram attraverso la sua sperimentazione, diminuisce il grado di obbedienza: quando la vittima si trovava nella stessa stanza ed era visibile, il 40% obbediva fino alla fine; quando l’insegnante doveva abbassare la mano della vittima sull’elettrodo per fargli prendere la scossa, l’obbedienza scendeva al 30%, percentuale più bassa ma comunque ancora spaventosamente alta. Tuttavia, questa variabile dovrebbe per lo meno far riflettere sull’importanza del contatto sociale fra individui: la vicinanza aumenta le probabilità di contestualizzazione e quindi riduce possibili conseguenze dannose o vessatorie da parte di chi rappresenta l’autorità; garantendo, almeno un po’, l’esercizio cosciente del potere conferito dal ruolo ufficiale del soggetto d’autorità.
Inoltre, un altro fattore molto significativo è la contiguità della figura autorevole. L’obbedienza era ridotta al 20,5% quando lo sperimentatore era assente dalla stanza e trasmetteva le istruzioni telefonicamente. Quando lo sperimentatore non dava affatto ordini e il partecipante era lasciato del tutto libero di decidere quando smettere, il 2,5% continuava fino in fondo. Tuttavia, il fattore che incide maggiormente sull’obbedienza è probabilmente la pressione di gruppo: la presenza di due partecipanti disobbedienti – cioè di altre persone che sembravano ribellarsi e si rifiutavano di continuare dopo aver inflitto scosse di intensità pari a 150/210 – riduceva l’obbedienza totale del 10%, mentre la presenza di due partecipanti obbedienti la aumentava fino al 92,5%. La disobbedienza di gruppo probabilmente produce il suo effetto, perché le azioni degli altri aiutano a confermare la legittimità o illegittimità di continuare a infliggere scosse.
OBBEDIENZA ALL’AUTORITÀ E LEGITTIMITA’ DELLA FIGURA AUTOREVOLE: ULTERIORI ESPERIMENTI
La legittimità della figura autorevole permette alle persone di rinunciare alla responsabilità diretta delle proprie azioni. Ad evidenziare questo, per esempio, è Brad Bushman professore di psicologia dell’Università dell’Ohio: chiese ai suoi collaboratori, i quali indossavano un’uniforme oppure un abito malridotto, di stare vicino a una persona che cercava di cambiare del denaro da inserire nel parchimetro. Il collaboratore fermava i passanti e “ordinava” loro di cambiare alla persona i soldi per il parchimetro. Più del 70% obbedì quando il collaboratore era in uniforme – “perché mi ha detto di farlo”, era la motivazione – e circa il 50% obbedì quando il collaboratore era senza uniforme – in questo caso la motivazione in genere era l’altruismo –. Questi studi suggeriscono che i soli simboli dell’autorità possono dare origine a un’obbedienza incondizionata. Questo ulteriore scenario mette il ragionevole dubbio: che cosa sarebbe successo se questi simboli dell’autorità legittima fossero stati rimossi? Infatti, gli esperimenti originali di Milgram erano condotti da scienziati in camice bianco presso la prestigiosa Università di Yale, ed erano presentati come importanti obiettivi da raggiungere per la ricerca scientifica; contesto di autorità più che legittimo per i partecipanti all’esperimento. Per questo Milgram condusse una variante dell’esperimento presso un fatiscente palazzo di uffici del centro cittadino: un’azienda di ricerca privata di natura commerciale che, apparentemente, sponsorizzò lo studio. In questo caso l’obbedienza si ridusse, ma toccava comunque un notevole 48%, percentuale pur sempre allarmante.
L’IMPORTANZA DI FERMARSI A PENSARE PRIMA DI AGIRE
La ricerca di Stanley Milgram affronta lo studio di una delle più grandi debolezze dell’umanità: la tendenza a obbedire agli ordini senza prima riflettere. Dai risultati emersi da questi studi si evince, tristemente, come la percentuale di persone che tendono ad obbedire senza riflettere sia incredibilmente cospicua. Nonostante le attenuanti situazionali relative alla contiguità, all’autorità legittima e alla pressione di gruppo gli studi di Milgram sollevano ragionevoli dubbi riguardo alla maturità delle attitudini di discernimento di buona parte della società: un’ampia porzione di soggetti, rappresentanti di una grossa fetta della nostra cultura sociale di massa, troppo facilmente obbedisce senza riflettere sulle richieste che gli vengono fatte e sulle conseguenze della propria obbedienza per gli altri esseri viventi, i propri simili, le altre Persone.
Tale scenario dovrebbe farci pensare rispetto a molte scelte operate dagli apparati sociali a livello politico e amministrativo, ma forse è proprio su queste dinamiche dell’obbedienza che tali apparati prosperano, nel bene e nel male. Ad ogni modo sarebbe opportuno domandarsi ogni volta che viene dato un imperativo da qualsiasi figura di autorità, ufficiale o ufficiosa, se le motivazioni di tale imperativo sono giustificate da basi solide e non da finalità dubbie o deboli giustificativi; e se le conseguenze del nostro consenso ad obbedire siano realmente benefiche sia per noi stessi che per gli altri e non unilaterali, portando benefici solo alla nostra fazione o ancor peggio anche danneggiando gli altri in qualche modo. Oppure nei casi più stupidi: quando l’obbedienza comporta danni o perdite sia a chi obbedisce e sia all’autorità, l’agente autorizzato che impartisce l’ordine e, con una panoramica più ampia, anche all’istituzione promotrice delle norme che legittimano quell’ordine.
Certamente, qualche volta, l’obbedienza più rivelarsi utile. Per esempio, molte organizzazioni sarebbero poco funzionali se i propri membri negoziassero sistematicamente gli ordini, soprattutto nei contesti critici dove le decisioni devono essere prese con fermezza e tempestività, pensiamo alle emergenze mediche, per esempio, oppure ai reparti militari. Tuttavia, ciò non costituisce una giustificazione sufficiente per sorvolare certi tipi di condotte, in particolare rispetto a quegli apparati strutturati gerarchicamente come l’ambito militare o le forze dell’ordine che, troppo spesso, si son fatti palcoscenico di situazioni aberranti dove lo sgravio di responsabilità giustificato dall’affermazione “sto solo eseguendo gli ordini”, ha permesso l’attuazione di azioni ingiuste, se non peggio, nei confronti dei propri simili. A questi, sicuramente possiamo anche aggiungere gli ospedali che in questo periodo si fanno teatro di crudeltà nel negare, attraverso i propri agenti, l’entrata in ospedale alle persone non in “regola” con l’aberrante carta verde, misura tutt’altro che sanitaria. Fino ad arrivare a situazioni limite dove l’obbedienza, il conformismo, l’eterodirezione e la diffusione di responsabilità con troppa e spaventosa leggerezza induce persone comuni come il buon padre di famiglia, a compiere azioni tremendamente disumane, generando quello stato antisociale descritto dal Dr. Zimbardo come Effetto Lucifero.
CONSIDERAZIONI CRITICHE ALL’ESPERIEMNTO DI STANLEY MILGRAM
Sicuramente l’esperimento Milgram solleva numerose considerazioni critiche, in primo luogo di carattere etico: come il consenso pienamente informato, la piena trasparenza da parte dello sperimentatore di comunicare chiaramente ed esplicitamente ai partecipanti, la loro possibilità di ritirarsi in qualsiasi momento e fase della ricerca senza subire sanzioni. E altri aspetti di carattere etico che le ricerche in campo psicologico degli anni 60’ hanno precorso “selvaggiamente”, ma hanno anche gettando le basi per la strutturazione sperimentale moderna pienamente etica e informata. Tuttavia, mettendo per un attimo fra parentesi il giudizio etico ci si potrebbe chiedere se: senza le libertà di quegli anni si sarebbe potuto arrivare ugualmente alle stesse illuminanti scoperte? Impossibile saperlo con certezza.
Perciò oggi, a cose fatte, possiamo solo prendere atto saggiamente dei risultati offerti da esperimenti come quello di Milgram e, invece di demonizzarli o far finta che non siano mai stati fatti, farne tesoro. Riflettendo seriamente sulla nostra condizione umana, senza eufemismi o vittoriane delicatezze. Prendendone autentica consapevolezza, per andare oltre alle bieche dinamiche psicologiche di cui ognuno di noi possiede il seme; ma se nutriamo la nostra saggezza difficilmente questo seme potrà germogliare.
Non sia mai che gli apparti dell’ordine politico e sociale usino tali conoscenze per tenerci buoni e sotto controllo, nella speranza che mai ci addentreremmo in un sentiero così oscuro come quello delle nostre primarie debolezze umane.
Ma questo è un ragionamento assurdo, da cospirazionisti o teorici del complotto.
O forse no?! …
Continua la ricerca su questi argomenti leggendo anche: “L’EFFETTO LUCIFERO”
Articolo di:
Fabio Valenzisi
Bibliografia essenziale:
– Michael A. Hogg, “Psicologia sociale teorie e applicazioni”; Ed. Pearson.
Le informazioni contenute in questo post non sono indicazioni o prescrizioni mediche, hanno il solo scopo di informare. Al fine di agire nel rispetto del proprio corpo e bene farsi seguire da operatori del benessere accreditati e consultare sempre il proprio medico.
Se desideri essere messo in contatto con un medico specializzato in medicina integrata e olistica, uno dei nostri kinesiologi o direttamente con l’autore contattaci, saremo lieti di consigliarti gratuitamente sui professionisti della nostra rete di contatti.
Correlati